Anthony Capella – Il pasticcere del re

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Il pasticcere del re
Anthony Capella

Il pasticcere del re

Sono una grande amante dei romanzi storici, mi piacciono i libri che parlano di cibo e quindi ho ceduto subito quando ho visto questo romanzo.

Trama in breve: Carlo Demirco, un tempo servo del persiano Ahmad, conosce i segreti del ghiaccio ed è un maestro nella preparazione di gelati, sorbetti e cordiali. La sorte lo porta prima a Versailles e poi in Inghilterra, dove mette la sua arte al servizio dei due maggiori sovrani d’Europa, Luigi XIV e Carlo II.
Sua compagna di viaggio Louise, discendente di un’antica famiglia della Bretagna, di cui è perdutamente innamorato, il cui compito è quello di fungere da intermediaria tra il re di Francia e quello di Inghilterra.

Lo dico fin da subito: non mi ha lasciato nulla.
Non è scritto male; il ritmo è piuttosto lento ma non considero questa caratteristica un difetto, anzi spesso preferisco una storia più lenta a una troppo frenetica.
Il punto, qui, è che non sono riuscita a trovare quel qualcosa in più che mi fa amare un libro.
E’ scritto bene, anche se alcuni punti mi hanno fatto storcere il naso (dubito fortemente che una dama di Versailles profumasse di acqua di rose), ma è noioso, e il protagonista è di una superficialità e una stupidità imbarazzante.
Il suo nome è Carlo Demirco. Da bambino lavorava per Ahmad, un persiano che, nella Firenze dei Medici, si occupava della preparazione di sorbetti e cordiali graditissimi dalla nobiltà.
Carlo impara da lui questo mestiere, e trova la sua fortuna il giorno in cui riesce ad arrivare in Francia, alla corte di Luigi XIV.
Al di là delle varie vicende che fanno da sfondo e che ognuno di noi ha studiato sui banchi di scuola, la stupidità di quest’uomo è allucinante. Sembra che il suo cervello sia programmato per pensare a gelati e sorbetti: null’altro. Non ha la minima sensibilità, non ha pensieri profondi. Anche l’amore che dice di professare per Louise risulta più che altro un’ossessione, tra l’altro mal gestita.
Altra nota dolente, Louise.
Ora, che non si possano amare tutti i personaggi è chiaro, che li si possano odiare tutti (quei pochi che sono caratterizzati, la maggior parte sono poco più che comparse) è come minimo sgradevole.
Louise è insopportabile, o almeno, lo è stata per me.
Arrogante e altezzosa quando non ha alcun motivo di esserlo, dà l’impressione di ritenersi superiore a chiunque.
Non disdegno un personaggio dal brutto carattere, ma l’ho trovata davvero mal gestita.
La questione dei personaggi è importantissima, per quanto mi riguarda, e qui sono proprio loro a rovinare quello che, di base, sarebbe potuto essere un bel romanzo.

In conclusione, non posso consigliare un romanzo che mi ha fatto nascere il desiderio di veder morire i personaggi tra atroci sofferenze.
Sarebbe stato un buon libro, se non ci fosse stato alcun protagonista.

Margaret Atwood – La donna da mangiare

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La donna da mangiare
Margaret Atwood

La donna da mangiare

Margaret Atwood fa parte della mia rosa di autori preferiti.
Innamoratami di lei grazie a La donna che rubava i mariti, mi sono impossessata di tutti i suoi romanzi, e piano piano li sto leggendo.
In questi giorni è toccato a questo.

Trama in breve: Marian è una donna che lavora presso “Indagini di mercato Seymour”, ha un fidanzato di nome Peter e vive con un’amica femminista decisamente particolare.
Durante un’indagine sulla birra condotta per lavoro Marian conosce Duncan, un ventiseienne dall’aspetto di un ragazzino che subito la ammalia per la sua aria da bimbo indifeso e che poi ritroveremo nel corso di tutto il romanzo.
I problemi di Marian iniziano nel momento in cui Peter le propone di sposarla, facendo crollare le sue certezze e spingendola a farsi domande su se stessa e su ciò che vuole essere.
E’ in questo periodo che Marian, senza nemmeno sapere bene perché, smette di mangiare, e l’unico modo per riuscire a tornare “normale” è quello di capire che cosa vuole dalla propria vita.

Inizio dicendo che la traduzione fa accapponare la pelle.
Se avessi letto un altro “egli” o “essa” giuro che avrei dato fuoco al libro. Per fortuna è terminato prima che la mia soglia di sopportazione venisse brutalmente infranta. Mi rendo conto che questo è un problema che non posso attribuire al romanzo in sé, ma non avendo a disposizione la versione originale mi trovo costretta a farci i conti.
Ignorando il problema dell’esubero di pronomi, mi sono addentrata nella lettura.
Il libro è diviso in tre parti; la prima è, detta banalmente, noiosa. E’ lenta, non succede nulla e non mi ha colpita particolarmente se non per la pateticità della protagonista e l’assoluto odio che ho sviluppato per tutti gli altri personaggi.
La seconda parte l’ho trovata migliore, sul serio, e soprattutto ho trovato che il personaggio di Duncan, su cui mi soffermerò più avanti, abbia alzato il livello della storia.
La terza parte, corrispondente, se vogliamo, a un epilogo, dà senso al libro in sé ed è stata tutto sommato piacevole.
Visto che la trama non ha grandi avvenimenti (cosa che non è assolutamente negativa, per me), passo ai personaggi che sono il punto più importante.
Non saprei fare una classifica dei più odiosi.
Duncan escluso, li ho odiati tutti dal primo all’ultimo. Forse quella che ho digerito meno è stata Clara, amica di Marian, madre di tre figli e donna sciatta e inconcludente.
Questa avversione per i personaggi mi deriva probabilmente da una mentalità molto diversa da quella che ognuno di loro ostenta: dalle loro bocche esce l’idea di un mondo in cui la donna è chiusa in casa a fare figli, e l’uomo esce a lavorare.
L’ho trovato pesante, in quanto è praticamente il tema di fondo del romanzo, e anche abbastanza disturbante.
Duncan è un’eccezione: si potrebbe definire un anticonformista, o forse semplicemente uno che fa quello che gli va di fare perché gli va di farlo. Si ritiene bisognoso di cure, definisce i suoi due coinquilini, studenti come lui “genitori” e si dimostra più simile a un bambino/adolescente che a un adulto, anche se è davvero difficile dare un’interpretazione di questo personaggio che è l’unico che ho amato.
Anche la protagonista, Marian, è piuttosto insopportabile, almeno per la prima metà del libro. E’ scialba, non ha carattere, si fa maneggiare come un burattino, almeno fino a quando inizia a mostrare segni di squilibrio e a porsi più domande, allora la questione cambia e lei diventa un personaggio molto più apprezzabile.

In conclusione, non mi sento di consigliare questo romanzo.
Lo stile della Atwood ha senza dubbio fascino, ma per me questo libro è stato pesante e inconcludente.

Thomas Mann – La morte a Venezia

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La morte a Venezia
Thomas Mann

La morte a venezia

Lo confesso, l’ho abbandonato.
Il mio Kindle segnava il 48% quando ho deciso di lasciar perdere, quindi diciamo che fino a metà sono arrivata.

Trama in breve (Dal sito lafeltrinelli.it): Una Venezia estiva ammorbata da una peste incombente ospita l’inquieto Gustav Aschenbach, famoso scrittore tedesco che ha costruito vita e opera sulla più ostinata fedeltà ai canoni classici dell’etica e dell’estetica. Un sottile impulso lo scuote nel momento in cui compare sulla spiaggia del Lido la spietata bellezza di Tadzio, un ragazzo polacco. Un unico gioco di sguardi, la vergogna della propria decrepitezza, la scelta di imbellettarsi per nasconderla, sono i passi che scandiscono la vicenda. In pieno Novecento, Thomas Mann ha colto e rappresentato la grande cultura borghese in via di dissoluzione, in un’opera emblematica che fonde la perfezione formale con la rappresentazione degli aspetti patologici di quella crisi.

Allora.
Io di pazienza, quando si tratta di libri, ne ho tanta.
Posso sopportare dieci pagine in cui non succede nulla, in cui ci sono solo descrizioni. Sul serio. Io ho letto tutta la descrizione della Cattedrale di Notre-Dame de Paris e quella dello specchio del Nome Della Rosa.
Ma quando per mezzo libro non succede assolutamente nulla, io non ce la faccio.
Lo confesso, sono stata insofferente fin dalle prime pagine. Ci viene presentato il protagonista, Aschenbach. In mezzo libro non si fa altro che dire com’è quest’uomo. Il suo carattere e i suoi pensieri.
Ma mai una volta che ci vengano mostrati!
Insomma, se mi dici che è un uomo laborioso, fammi vedere perché lo è. No. Qui è tutto descritto.
Ho trovato anche la scrittura di difficile comprensione. Okay, so che stiamo parlando di un romanzo del 1912, so che lo stile non è quello di oggi, ci mancherebbe. Però l’ho trovato troppo altisonante, troppo pesante da leggere. Ovviamente qui si parla di traduzione, non avendo la possibilità né la capacità di leggere l’originale, ma questo è il punto.

Insomma, in conclusione, io non sono nemmeno riuscita ad arrivare in fondo. Probabilmente è un limite mio, visto che il libro è tanto osannato, ma veramente non l’ho potuto reggere.
Pertanto no, non lo consiglio per nulla.