Lisa See – Le perle del Drago Verde

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Lisa See
Le perle del Drago Verde

Mi sono innamorata di quest’autrice con “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, perciò non appena ho trovato questo romanzo non ho potuto fare a meno di acquistarlo.

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Trama in breve: Unite da un profondo affetto e dalle vicende di un’esistenza travagliata, le sorelle May e Pearl Chin, dopo una giovinezza felice a Shangai, la “Parigi d’Oriente”, vivono nella Los Angeles degli anni Cinquanta costrette dal padre a un matrimonio d’interesse con i fratelli Louie. Nella Chinatown della città, le due famiglie hanno allevato Joy, ora diciannovenne, che scopre per caso con dolore di non essere figlia di Pearl e Sam, come ha sempre creduto, bensì di May e del suo grande amore di gioventù, il pittore cinese Z.G.
Sconvolta, la ragazza decide di recarsi nel Paese al quale sente di appartenere, per conoscere il suo vero padre. Ma la Cina che l’attende è la Cina del Grande Balzo in avanti, un Paese in cui gli individui non contano nulla, piegati dal potere e dalle sue richieste spietate. Lo stesso padre di Joy è osteggiato dal nuovo regime in quanto artista e sta per partire per la campagna dove dovrà imparare dalla vita reale e fare autocritica. Nel suo entusiasmo cieco per il Paese che sente come suo, Joy decide di seguirlo e in un villaggio sperduto si innamora di Tao Feng, un contadino.
Nel frattempo a Los Angeles, la “madre” di Joy, Pearl, decide di recarsi a sua volta in Cina per riportare a casa “sua” figlia…

All’inizio ammetto di non essere stata contenta di questo romanzo.
Mi sembrava lento, e per le prime pagine non è riuscito ad appassionarmi. Complice il mio amore per l’Oriente e la storia, ho deciso di continuare e non me ne sono per niente pentita.
Parto dai personaggi.
Protagoniste della vicenda sono Joy e Pearl, le cui voci si alternano nei capitoli del romanzo, facendoci seguire separatamente le vicende dell’una e dell’altra. Confesso che per me è stato più facile immedesimarmi in Pearl, la madre, mentre ho trovato “poco digeribile” il personaggio di Joy.
E’ una ragazza di appena vent’anni, con la testa piena di ideali sul comunismo che le sono stati inculcati in America, dove viveva fino alla decisione di trasferirsi in Cina. Nel romanzo si nota senza dubbio tutta la sua ingenuità, la sua cecità davanti ai problemi del Paese che lei ritiene perfetto nonostante veda con i propri occhi che tutto perfetto, in effetti, non è. Posso dire di averla trovata caparbia e infantile, ma ho assolutamente apprezzato la sua costruzione, e la maturazione che subisce. Senza dubbio alla fine del romanzo Joy non è la stessa delle prime pagine: ha imparato dai propri errori ed è maturata molto.
Pearl esprime l’angoscia di una madre che per anni ha mentito alla figlia e ora teme di perderla. E’ una donna forte, lo si capisce benissimo nonostante le insicurezze che dimostra di avere in alcuni passaggi. E’ una madre capace di permettere alla figlia di vivere la propria vita, anche se sa che questo le causerà dei guai. Sospesa a metà tra il ricordo della giovinezza e la vita attuale, è un personaggio profondo e commovente.
Per quanto riguarda il padre di Joy, Z.G., ammetto di averlo trovato sfuggente e di non averlo compreso fino in fondo.
Altro personaggio ben costruito è senza dubbio l’ambiguo Tao, che ho trovato dolce e gentile fino a metà romanzo, quando la stessa Joy scopre la sua vera natura.
A fare da sfondo alle vicende di questi personaggi troviamo la Cina del Grande Balzo in avanti, davvero ben descritta con i suoi aspetti positivi e con quelli negativi. In particolar modo è Joy quella che ci mostra l’idealizzazione dell’opera di Mao, mentre Pearl, al contrario, riserva a tutta la rivoluzione uno sguardo critico che ne mette in evidenza le ambiguità e i difetti.

In conclusione, è un romanzo che, nonostante la lentezza iniziale, mi sento di consigliare.
E’ coinvolgente e ben strutturato, i personaggi sono ben costruiti e hanno una notevole evoluzione.

Suzanne Collins – [Hunger games] Hunger games

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Hunger games
Suzanne Collins

Hunger games

Ho iniziato questo libro essenzialmente perché una mia carissima amica ne è ossessionata, e a furia di parlarmene mi ha incuriosita. Quindi, eccomi a recensire il primo volume di questa ormai famosissima saga.

Trama in breve: Quando Katniss urla “Mi offro volontaria, mi offro volontaria come tributo!” sa di aver appena firmato la sua condanna a morte. E il giorno dell’estrazione dei partecipanti agli Hunger Games, un reality show organizzato ogni anno da Capitol City con una sola regola: uccidi o muori. Ognuno dei Distretti deve sorteggiare un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni che verrà gettato nell’Arena a combattere fino alla morte. Ne sopravvive uno solo, il più bravo, il più forte, ma anche quello che si conquista il pubblico, gli sponsor, l’audience. Katniss appartiene al Distretto 12, quello dei minatori, quello che gli Hunger Games li ha vinti solo due volte in 73 edizioni, e sa di aver poche possibilità di farcela. Ma si è offerta al posto di sua sorella minore e farà di tutto per tornare da lei. Da quando è nata ha lottato per vivere e lo farà anche questa volta. Nella sua squadra c’è anche Peeta, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa per farcela. Lui è determinato a mantenere integri i propri sentimenti e dichiara davanti alle telecamere di essere innamorato di Katniss. Ma negli Hunger Games non esistono gli amici, non esistono gli affetti, non c’è spazio per l’amore. Bisogna saper scegliere e, soprattutto, per vincere bisogna saper perdere, rinunciare a tutto ciò che ti rende Uomo. 

E’ un romanzo interessante, senza dubbio.
Ammetto di averlo praticamente divorato; non è molto lungo e la scrittura è piuttosto semplice, ci si concentra sui fatti più che sullo stile e questo lo rende una lettura leggera, tutto sommato, anche se l’argomento non lo è.
L’idea di rinchiudere dei ragazzini in uno spazio chiuso per costringerli a un gioco al massacro non è nuova; ricordo di aver letto diverso tempo fa Battle Royale di Koushun Takami e la trama è molto simile.
Detto questo, mi soffermo un attimo sui personaggi.
Partiamo dalla protagonista, Katniss, nostra eroina e voce narrante. Non nutro particolare simpatia per i protagonisti in generale, per Katniss, poi, meno che mai. Non è un brutto personaggio, ma non lo trovo gestito al meglio.
Cerco di spiegarmi. Katniss viene dal Distretto più povero, il numero 12. Infrangendo la legge, è una cacciatrice, passa le sue giornate nei boschi a procurare cibo alla madre e alla sorella, Prim. Ha per la sorellina un amore sconfinato, al punto che si sacrifica per prendere il suo posto negli Hunger games.
Ora, questa Katniss è una ragazza poco istruita (e si vede) e anche poco educata (si vede pure questo). Fin qui, tutto okay. E’ un personaggio dal carattere forte, resta impresso ed è ben descritto. Ecco una cosa che mi ha urtata non poco: tutti la adorano. Che lo dimostrino o meno, tutti si trovano incantati da questa ragazza, nonostante il suo carattere scontroso e anche decisamente opportunista. E’ una cosa che personalmente non ho apprezzato, in fin dei conti con un carattere simile mi sarei aspettata delle reazioni meno accondiscendenti.
Per quanto riguarda lo sviluppo e la costruzione della trama vera e propria, è tutto molto lineare. Gli Hunger games vengono descritti dall’inizio alla fine, seguiamo la protagonista attraverso i boschi dell’arena e ammetto che è coinvolgente proprio per il fatto che ci sono molte, moltissime azioni.
Il tempo per i sentimenti c’è, ma è ridotto e in questo caso non l’ho trovato un difetto. Il fatto che il romanzo sia scritto in prima persona ci aiuta senza dubbio a immedesimarci con la protagonista, perciò non c’è bisogno di passaggi di riflessione, li viviamo attraverso le sue azioni e le sue decisioni.
Ci sono stati passaggi che mi hanno commossa e altri che mi hanno divertita, il tutto ben proporzionato: è un libro essenzialmente di azione, non eccede nel melenso e allo stesso tempo non vuole far ridere per forza. Insomma, l’ho trovato equilibrato.

In conclusione, direi che lo consiglio come lettura semplice, non troppo impegnativa.
Un bel romanzo, anche se non un capolavoro; un modo piacevole per passare un paio di giorni.

Ito Ogawa – Il ristorante dell’amore ritrovato

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Il ristorante dell’amore ritrovato
Ito Ogawa

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Mi piacciono i libri che parlano di cibo.
Li adoro; mi piacciono le descrizioni dei profumi, dei sapori, delle ricette. Non potevo davvero, quindi, lasciarmi scappare questo romanzo.

Trama in breve: Ringo, una ragazza che lavora nelle cucine di un ristorante turco di Tokyo, rientra una sera a casa con l’intenzione di preparare una cena succulenta per il suo fidanzato col quale convive da un po’. Con suo sommo sgomento, però, scopre che l’appartamento è completamente vuoto. Niente televisore, lavatrice, frigorifero, mobili, tende, niente di niente. Spariti persino gli utensili in cucina, il mortaio di epoca Meiji ereditato dalla nonna materna, la casseruola Le Creuset acquistata con la paga del suo primo impiego, il coltello italiano ricevuto in occasione del suo ventesimo compleanno. E, soprattutto, sparito il fidanzato indiano, maitre nel ristorante accanto al suo, un ragazzo con la pelle profumata di spezie. Lo choc di Ringo è tale che resta impietrita al centro della casa desolatamente vuota, la voce che non le esce più dalla bocca. Decide allora di ritornare al villaggio natio, dove non mette più piede da quando, quindicenne, è scappata di casa in un giorno di primavera. Là, appartata nella quiete dei monti, matura il suo dolore. Una mattina, però, osservando il granaio della casa materna, Ringo ha un’idea singolare per tornare pienamente alla vita: aprire un ristorante per non più di una coppia al giorno, con un menu ad hoc, ritagliato sulla fisionomia e i possibili desideri dei clienti.

Ho trovato l’inizio di questo romanzo un po’ lento.
Anzi, molto lento, al punto che cominciavo a stancarmene. Lo salvavano le descrizioni stupende della preparazione dei cibi, e l’eleganza della scrittura.
Così ho continuato, e me ne sono innamorata.
Non è un libro dai grandi avvenimenti, la trama è molto semplice anzi, oserei quasi azzardare che la trama non c’è o comunque è ridotta al minimo.
Ma il ristorante di Ringo, il Lumachino, mi ha davvero catapultata in un mondo magico.
Questa volta non mi dilungherò molto sui personaggi: la protagonista ha davvero pochi contatti con gli altri personaggi, i dialoghi sono scarsi e tutto si concentra sulle descrizioni e sulle riflessioni di Ringo.
L’intensità di questo romanzo, per quanto mi riguarda, sta nei sentimenti.
Lo stile contribuisce senza dubbio ad aiutare in questo. Dire che il libro è scritto benissimo, per me, è dire poco. Ho trovato frasi stupende, uno stile musicale, lento, davvero suggestivo. Mi è piaciuto davvero tanto, diciamo che l’ho trovato il punto saliente del romanzo.
In rete ho trovato spesso critiche sulla scena della macellazione del maialino. Ammetto che è stata straziante, ma lo confesso: l’ho trovato il punto più sublime del romanzo. L’intensità dei sentimenti, il dolore della protagonista e allo stesso tempo una sorta di tranquillità che deriva da quella scena… E’ stato semplicemente perfetto.

In conclusione, è un romanzo che consiglio con tutto il cuore.
L’ho davvero adorato, e sono contenta di non essermi fatta scoraggiare dalla lentezza delle prime pagine: vale la pena di arrivare fino in fondo.

Eiji Yoshikawa – Musashi

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Musashi
Eiji Yoshikawa

Musashi

Dal momento che sono appassionata di narrativa orientale e in particolare giapponese, non potevo non essere attratta da questo romanzo, così quando l’ho visto l’ho comprato all’istante.

Trama in breve: Siamo agli inizi del Seicento, il giovanissimo Miyamoto Musashi sogna di diventare samurai. Diventa una vera e propria forza della natura, diventa insuperabile nell’arte della spada, ma il suo cuore è sensibile anche all’amore e a sentimenti di profonda umanità.

Inizio con il dire che questo libro è composto di 848 pagine, che non sono poche.Non ho problemi a leggere romanzi chilometrici ma no, non ce l’ho fatta. Mi sono fermata che mi mancavano appena cinquanta pagine. Probabilmente è stato un problema mio, che in questo periodo non ho voglia di leggere, comunque non sono proprio riuscita a proseguire.
Ma andiamo con ordine.
Parto dicendo che l’inizio non è dei più appassionanti. Diciamo che mi ci sono volute un centinaio di pagine per entrare nel ritmo della storia, anche se ammetto che ci sono numerosi personaggi interessanti che compaiono fin da subito (in particolare ho apprezzato il monaco Takuan) e che mi hanno invogliata a continuare.
I personaggi sono davvero tanti, ma i più importanti ricorrono in tutta la vicenda e quindi, alla fine, sono riuscita ad apprezzarli e a riconoscerli nonostante la loro quantità e i loro non sempre facilissimi nomi.
Una nota dolente del romanzo per me è proprio il personaggio di Musashi.
L’ho trovato davvero, davvero insopportabile. Inizia come poco di buono e finisce modificando radicalmente il proprio modo di fare, spinto dal desiderio di perfezionarsi, e fin qui ci sta. Tuttavia, Musashi diventa letteralmente invincibile. Ribadisco, mi mancano le ultime cinquanta pagine quindi per quanto mi riguarda potrebbe anche essere morto e io non lo scoprirò mai, ma fino alla fine del romanzo Musashi resta imbattuto. E soprattutto, mai ferito.
Ora, che lui sia fortissimo ci sta, va bene. Ma che la ferita più grave che si procura sia un livido francamente mi è sembrato assurdo.
Senza dubbio questo è quello che mi ha dato più fastidio; per il resto, ho adorato questo libro.
E’ una storia d’avventura, ma nonostante questo è descritta con eleganza e con una grande cura per i dettagli, cosa che personalmente ho apprezzato tantissimo. Ho adorato le descrizioni, l’attenzione per i paesaggi e le atmosfere.
Mi è sembrato davvero di essere stata catapultata in un altro mondo, e senza dubbio per me è stato questo il punto di forza del romanzo.
Essendo lunghissimo, è davvero difficile per me trovare tutti i punti che mi sono piaciuti e tutti quelli che non mi sono piaciuti, diciamo che in generale mi è piaciuto davvero molto, nonostante i personaggi a tratti poco credibili o comunque spinti all’estremo.
Anche se non l’ho concluso, dunque, posso dire di aver sviluppato un giudizio assolutamente positivo di questo romanzo.

In conclusione, lo consiglio, anche se è una lettura che tiene abbastanza impegnati, se non per la storia quanto meno per la lunghezza e il gran numero di informazioni che riceviamo in queste quasi 900 pagine.

 

Lisa See – La ragazza di giada

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La ragazza di giada
Lisa See

la ragazza di giada

Ho letteralmente adorato, di quest’autrice, “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, quindi come potevo non acquistare anche questo libro?
In realtà ho poi avuto difficoltà a finirlo, non mi è sembrato accattivante come l’altro.

Trama in breve: Nella Cina del XVII secolo, Peonia, una ragazza appartenente alla prestigiosa famiglia Chen, è promessa sposa a un uomo che non conosce.
Il giorno del suo sedicesimo compleanno, durante l’allestimento dell’opera Il Padiglione delle Peonie, conosce un ragazzo di cui si innamora a prima vista, ricambiata. Ma Peonia è consapevole di non poter cedere, visto il suo imminente matrimonio con l’uomo sconosciuto che i genitori le hanno scelto.
Da qui inizia il tormento della ragazza, che ha risvolti importantissimi e molto particolari.

Partiamo dal presupposto che parlare di questo libro è difficile perché non voglio fare spolier, e buona parte della mia perplessità arriva proprio dal colpo di scena che conclude la prima parte del romanzo, che mi ha lasciato tanto basita da farmi abbandonare la lettura per due giorni interi.
Una volta ritrovata la voglia di continuare, ho constatato che comunque Lisa See non si smentisce: la ricostruzione storica è accurata e dettagliata, sono stata davvero catapultata in un mondo diverso, con rituali e tradizioni che mi sono entrati nel cuore, per quanto siano così diversi dalla mia realtà.
Grandi protagoniste del romanzo sono le donne, anche se la loro vita ruota attorno agli uomini.
Peonia, naturalmente, la giovane protagonista. L’ho apprezzata molto: è una normale ragazza di sedici anni, ovviamente calata in un contesto diverso dal nostro, con la sua leggerezza da una parte, e dall’altra il desiderio e il dovere di compiacere i genitori e tenere alto il nome della famiglia.
C’è sua madre, una donna forte, con un passato importante da svelare, fondamentale nelle vicende della figlia.
Tan Ze, bimba di nove anni all’inizio del romanzo, la ritroviamo adulta in seguito, viziata e arrogante.
Poi la piccola Yi, una ragazza fragile fisicamente ma con uno spirito fortissimo, capace di cambiare le sorti di Peonia e di Tan Ze.
Peonia, Tan Ze e Yi sono legate, sono mogli-gemelle: per capire è necessario leggere il romanzo, o svelo l’intero intreccio.
Ci sono anche gli uomini, ovviamente, ma fanno da contorno. Sono la causa scatenante di tutto ma alla fine non risolvono e non concludono niente. La storia si svolge nelle camere interne, dove vivono le donne, e soprattutto si concentra sulle loro passioni e sui loro desideri.

In conclusione, non lo ritengo ai livelli di “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, ma lo ritengo un bel romanzo.
Io, poi, con la passione per la storia, continuo a essere innamorata delle descrizioni di questa donna, che per quanto mi riguarda valgono l’intero romanzo. Sono stata letteralmente catapultata nella Cina del XVII secolo, e non posso quindi che consigliare con tutto il cuore questo romanzo.

Eleonora Caruso – Comunque vada non importa

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Comunque vada non importa
Eleonora Caruso

Comunque vada non importa

Confesso, sono sempre titubante quando si parla di esordienti.
Insomma, non danno la stessa sicurezza di un autore conosciuto e magari amato, no?
Non a caso, nella mia libreria girano sempre gli stessi nomi, alla fine.
Bene, parliamo di questo romanzo, allora.

Trama in breve: Darla e il fratello Andrea si sono trasferiti a Milano da Novara, con l’intento di studiare all’università.
Sono fratelli, diversi tra loro eppure simili. Andrea è intelligente, bello, e con i suoi comportamenti autodistruttivi mette in ombra la sorella.
Darla, la nostra protagonista, vive sul divano davanti al pc. Letteralmente. A cercare di salvarli Alessandro, fidanzato di Andrea, che tiene a entrambi, che è affezionato loro nonostante siano due personalità difficili.

La trama, bene o male, è questa.
Sembra poca cosa, e in effetti se cerchiamo avvenimenti entusiasmanti in questo libro faremo fatica a trovarne.
Ma è bello. E’ bello davvero.
Darla è una donna vera, dannazione, diversa dai soliti libri. Anzi, è più di una donna vera! E’ sciatta, infantile, è pure sporca, ma quanto sono veri i suoi pensieri io non lo so dire. E’ anche incoerente, non sa nemmeno lei cosa vuole, però lo vuole. E’ egoista, tantissimo, ma chi non è egoista in realtà? Darla è vera, per quanto mi riguarda.
Posso dire di avere amato alla follia questa protagonista? Lo dico.
L’ho amata più che mai.
Così come ho amato e odiato Andrea, che è una presenza evanescente ma che si sente, eccome. In fin dei conti, è lui il fulcro che muove tutto, è intorno a lui che ruotano i personaggi e tutta la vicenda.
E’ un romanzo veloce: si legge in un pomeriggio.
Questo non vuol dire che sia semplice. Io ho riso leggendolo, ma ci sono anche rimasta male. Ho provato una forte malinconia quando Darla parlava del rapporto con il padre, con il fratello, con le amiche.
Non è un libro che ha una storia da raccontare, questo no. Ci mostra uno spaccato di vita, ecco tutto.
Io non guardo la trama di un libro, non mi interessa se per duecento pagine non succede niente.
Questo romanzo è scritto bene. Punto. E a me è piaciuto tantissimo così com’è.
Non ci sono fronzoli, anche lo stile è duro, secco. In sintonia con Darla, l’io-narrante di tutta la vicenda.

In conclusione, io lo consiglio.

Colleen McCullough – [I signori di Roma] I giorni del potere

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[I signori di Roma] I giorni del potere
Collen McCullough 

I giorni del potere

880 pagine in quattro giorni, e ho detto tutto.
Dopo essermi innamorata di Shogun (James Clavell) cercavo un romanzo storico altrettanto bello, che si facesse divorare.
L’ho trovato.

Trama in breve: Davvero difficile da riassumere. E’ la storia della Roma del primo secolo a.C., la storia dei suoi grandi uomini. Protagonisti indiscussi sono Caio Mario e Lucio Cornelio Silla, due grandi personalità dell’epoca. E intorno a loro, un nutritissimo gruppo di personaggi storici, quanto mai vivi. E’ una storia di politica, di intrighi, ma anche di vita familiare e di quotidianità.

Ora, la prima cosa che dico è che riassumere la trama di questo libro mi è quasi impossibile.
Dentro c’è di tutto. Si incentra su una storia politica, senza dubbio. Protagonista è la scalata al potere di Caio Mario, Uomo Nuovo che si trova a essere il più potente di Roma, affiancato da Lucio Cornelio Silla, un personaggio decisamente interessante, pieno di sfaccettature.
C’è molto più di questo, però.
Ho apprezzato tantissimo l’umanità di questi personaggi. Non c’è solo il grande protagonista storico in loro, ma anche l’uomo, forse in Silla più che in Mario.
Lo ammetto, sono stata assolutamente conquistata da questi due uomini, dai loro intrighi, da tutti i personaggi che ruotano loro intorno. Ognuno di loro è costruito in maniera magistrale, anche quelli che compaiono meno hanno un loro spessore e un loro carattere.
Davvero, davvero ben delineati.  Ho fatto un po’ fatica, all’inizio, a stare dietro alla loro moltitudine e soprattutto ai nomi, che si assomigliano un po’ tutti, ma dopo un po’ ci ho fatto l’abitudine.
Anche la descrizione della vita quotidiana mi è piaciuta. E ben descritta, coinvolgente.
Così come sono coinvolgenti gli scambi epistolari, i racconti bellici, le strategie militari.
Non ho saltato nemmeno una riga di questo libro, mi ha letteralmente conquistata.
Unica pecca: è il primo di una saga. Ora, io non sono amante delle saghe, questo è un problema mio. In tutta onestà, ritengo che dopo quasi 900 pagine di libro si possa concludere una vicenda, ma non è così.
Il libro, comunque, può considerarsi concluso: a non leggere il secondo non si ha la sensazione che manchi qualcosa, tutt’altro. E dirò di più, come conclusione l’ho apprezzata molto.

Insomma, libro consigliatissimo.
Davvero una splendida scoperta.

Yukio Mishima – Ali

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Ali
Yukio Mishima

Ali

Io con Mishima ci provo sempre.
Dopo aver adorato Confessioni di una maschera e aver finito a fatica Colori proibiti, ho deciso di riprovare con Ali.
“Son trenta pagine”, mi sono detta, “puoi farcela”.

Trama in breve: Yoko e Sugio, cugini, provano una forte attrazione l’uno per l’altro. Ognuno dei due immagina sulle spalle dell’altro delle ali che lo rendono speciale, diverso dal resto del mondo. Ali che tornano, poi, e che sono più pesanti di quanto pensavano.

Mishima ha uno stile inconfondibile, per quanto mi riguarda, e quest’opera, con la sua brevità, è perfetta così com’è.
Sono trenta pagine intense, dolci, sensuali e ricche di sentimento. Come scrive lui, non scrive nessuno.
Personalmente trovo che lo stile di questo autore si esprima meglio quando non si dilunga troppo, o almeno così mi è parso dopo essermi confrontata con due dei suoi romanzi più questo racconto.
L’eleganza e la raffinatezza delle sue descrizioni ogni volta mi rapisce, qui più che mai.
L’idea delle ali è splendida, resa benissimo.
E’ difficile dire tanto su un testo così breve, ma in fin dei conti trovo che non ci sia davvero molto da dire se non “leggetelo, merita”.

Jamie Ford – Il gusto proibito dello zenzero

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Il gusto proibito dello zenzero
Jamie Ford

Recensione

Lo confesso: l’ho comprato perché sono stata conquistata dagli occhioni della bimba in copertina.
Non me ne sono pentita per nulla; l’ho trovato un libro davvero stupendo.

Trama in breve: Henry è cinese nato in America, Keiko è giapponese, anche lei nata in America.
Siamo negli anni ’40, anni di forte discriminazione nei confronti dei giapponesi: la guerra mondiale è in atto e i giapponesi sono il nemico. Nonostante questo, Henry e Keiko fanno amicizia e si innamorano. Ci penseranno poi i programmi anti-giapponese a separarli, ma Henry e Keiko non si dimenticheranno mai.

E’ un libro commovente come pochi tra quelli che ho letto.
Confesso: pur essendo una lettrice accanita, mi capita molto di rado di commuovermi. In questo caso, confesso che una profonda malinconia non mi ha mai abbandonata, durante la lettura.
Lettura che, tra l’altro, è durata appena un paio di giorni. Eh sì, perché una volta iniziato non riuscivo più a fermarmi: avevo bisogno di seguire ancora Henry, il nostro protagonista.
Ho trovato personaggi ben costruiti, situazioni quotidiane che si intrecciano che uno dei capitoli bui della storia americana recente, e tanto, tanto sentimento.
Ammetto che di tanto in tanto ho trovato Henry un po’ troppo maturo. Nella maggior parte della narrazione ha dodici anni: premettendo che sì, è vero che la sua situazione familiare lo porta a crescere in fretta, in alcuni passaggi fa ragionamenti che ho trovato complessi per un ragazzo di quell’età, anche se senza dubbio si vede l’ingenuità, la spontaneità di un dodicenne che si trova invischiato in fatti che non capisce, e contro cui prova a combattere.
Ecco, questo è il punto di forza di Henry: lui ci prova, ci prova sempre, per quarant’anni. Anche se ha contro tutti, anche se è difficile, se non impossibile, lui cerca la sua Keiko per quarant’anni.
Come va a finire? Lascio a voi il piacere di scoprirlo.

In conclusione, consiglio questo libro con tutto il cuore: se cercate una storia dolce-amara, che vi faccia stare incollati alle pagine e che vi faccia commuovere ed emozionare, questo è il libro che fa per voi.

Bender Aimee – Un segno invisibile e mio

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Un segno invisibile e mio
Bender Aimee

Bender Segno invisibile Beat

Un libro senza dubbio inaspettato.
Mona Gray ha un’ossessione per i numeri e il giorno del suo ventesimo compleanno si regala un’ascia: senza dubbio questi due elementi hanno contribuito a farmi amare questo personaggio. Un’eroina fuori dal comune, che di eroico non ha nulla. Anzi, Mona mi sembra un po’ fuori dal mondo, ma questo me l’ha fatta apprezzare ancora di più.

Trama in breve: Mona ha diciannove anni quando la madre, senza motivo apparente, la butta fuori di casa.
Costretta a trovarsi un appartamento, viene assunta per insegnare matematica in una scuola elementare. Qui fa la conoscenza con la seconda classe, un gruppo di bambini decisamente fuori dal comune che la tiene impegnata durante le lezioni, tra cui spicca la piccola Lisa, figlia di una donna malata terminale e che avrà poi ruolo importante negli eventi.

Pare poca cosa?
Lo è. Se cercate una trama ricca di avvenimenti, di colpi di scena e sorprese, questo libro non fa per voi.
Se cercate un libro con uno stile leggero e scorrevole, con una protagonista particolare ma indimenticabile e una trama incalzante nella sua semplicità, allora fa per voi.
Personalmente, non posso dire di non aver trovato delle pecche. Ci sono senza dubbio delle domande a cui non si trova risposta, in particolare sul padre di Mona (malato, ma non si sa di cosa) e sul comportamento della madre (non si capisce perché l’abbia buttata fuori di casa) e aggiungerei anche sui bambini a cui Mona insegna, perché del tutto normali non mi sembrano.
Aggiungo che il finale è molto aperto, anche se questo, a mio parere, non è un difetto. Il libro racconta una porzione della vita di Mona, ma non conclude nulla: alla fine del libro, la vita di questa giovane donna va avanti.

In conclusione, il giudizio sul libro è assolutamente positivo: non è una lettura impegnativa, ma è molto piacevole e si legge senza difficoltà.
Senza dubbio lo consiglio.