Lisa See – Le perle del Drago Verde

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Lisa See
Le perle del Drago Verde

Mi sono innamorata di quest’autrice con “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, perciò non appena ho trovato questo romanzo non ho potuto fare a meno di acquistarlo.

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Trama in breve: Unite da un profondo affetto e dalle vicende di un’esistenza travagliata, le sorelle May e Pearl Chin, dopo una giovinezza felice a Shangai, la “Parigi d’Oriente”, vivono nella Los Angeles degli anni Cinquanta costrette dal padre a un matrimonio d’interesse con i fratelli Louie. Nella Chinatown della città, le due famiglie hanno allevato Joy, ora diciannovenne, che scopre per caso con dolore di non essere figlia di Pearl e Sam, come ha sempre creduto, bensì di May e del suo grande amore di gioventù, il pittore cinese Z.G.
Sconvolta, la ragazza decide di recarsi nel Paese al quale sente di appartenere, per conoscere il suo vero padre. Ma la Cina che l’attende è la Cina del Grande Balzo in avanti, un Paese in cui gli individui non contano nulla, piegati dal potere e dalle sue richieste spietate. Lo stesso padre di Joy è osteggiato dal nuovo regime in quanto artista e sta per partire per la campagna dove dovrà imparare dalla vita reale e fare autocritica. Nel suo entusiasmo cieco per il Paese che sente come suo, Joy decide di seguirlo e in un villaggio sperduto si innamora di Tao Feng, un contadino.
Nel frattempo a Los Angeles, la “madre” di Joy, Pearl, decide di recarsi a sua volta in Cina per riportare a casa “sua” figlia…

All’inizio ammetto di non essere stata contenta di questo romanzo.
Mi sembrava lento, e per le prime pagine non è riuscito ad appassionarmi. Complice il mio amore per l’Oriente e la storia, ho deciso di continuare e non me ne sono per niente pentita.
Parto dai personaggi.
Protagoniste della vicenda sono Joy e Pearl, le cui voci si alternano nei capitoli del romanzo, facendoci seguire separatamente le vicende dell’una e dell’altra. Confesso che per me è stato più facile immedesimarmi in Pearl, la madre, mentre ho trovato “poco digeribile” il personaggio di Joy.
E’ una ragazza di appena vent’anni, con la testa piena di ideali sul comunismo che le sono stati inculcati in America, dove viveva fino alla decisione di trasferirsi in Cina. Nel romanzo si nota senza dubbio tutta la sua ingenuità, la sua cecità davanti ai problemi del Paese che lei ritiene perfetto nonostante veda con i propri occhi che tutto perfetto, in effetti, non è. Posso dire di averla trovata caparbia e infantile, ma ho assolutamente apprezzato la sua costruzione, e la maturazione che subisce. Senza dubbio alla fine del romanzo Joy non è la stessa delle prime pagine: ha imparato dai propri errori ed è maturata molto.
Pearl esprime l’angoscia di una madre che per anni ha mentito alla figlia e ora teme di perderla. E’ una donna forte, lo si capisce benissimo nonostante le insicurezze che dimostra di avere in alcuni passaggi. E’ una madre capace di permettere alla figlia di vivere la propria vita, anche se sa che questo le causerà dei guai. Sospesa a metà tra il ricordo della giovinezza e la vita attuale, è un personaggio profondo e commovente.
Per quanto riguarda il padre di Joy, Z.G., ammetto di averlo trovato sfuggente e di non averlo compreso fino in fondo.
Altro personaggio ben costruito è senza dubbio l’ambiguo Tao, che ho trovato dolce e gentile fino a metà romanzo, quando la stessa Joy scopre la sua vera natura.
A fare da sfondo alle vicende di questi personaggi troviamo la Cina del Grande Balzo in avanti, davvero ben descritta con i suoi aspetti positivi e con quelli negativi. In particolar modo è Joy quella che ci mostra l’idealizzazione dell’opera di Mao, mentre Pearl, al contrario, riserva a tutta la rivoluzione uno sguardo critico che ne mette in evidenza le ambiguità e i difetti.

In conclusione, è un romanzo che, nonostante la lentezza iniziale, mi sento di consigliare.
E’ coinvolgente e ben strutturato, i personaggi sono ben costruiti e hanno una notevole evoluzione.

Ito Ogawa – Il ristorante dell’amore ritrovato

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Il ristorante dell’amore ritrovato
Ito Ogawa

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Mi piacciono i libri che parlano di cibo.
Li adoro; mi piacciono le descrizioni dei profumi, dei sapori, delle ricette. Non potevo davvero, quindi, lasciarmi scappare questo romanzo.

Trama in breve: Ringo, una ragazza che lavora nelle cucine di un ristorante turco di Tokyo, rientra una sera a casa con l’intenzione di preparare una cena succulenta per il suo fidanzato col quale convive da un po’. Con suo sommo sgomento, però, scopre che l’appartamento è completamente vuoto. Niente televisore, lavatrice, frigorifero, mobili, tende, niente di niente. Spariti persino gli utensili in cucina, il mortaio di epoca Meiji ereditato dalla nonna materna, la casseruola Le Creuset acquistata con la paga del suo primo impiego, il coltello italiano ricevuto in occasione del suo ventesimo compleanno. E, soprattutto, sparito il fidanzato indiano, maitre nel ristorante accanto al suo, un ragazzo con la pelle profumata di spezie. Lo choc di Ringo è tale che resta impietrita al centro della casa desolatamente vuota, la voce che non le esce più dalla bocca. Decide allora di ritornare al villaggio natio, dove non mette più piede da quando, quindicenne, è scappata di casa in un giorno di primavera. Là, appartata nella quiete dei monti, matura il suo dolore. Una mattina, però, osservando il granaio della casa materna, Ringo ha un’idea singolare per tornare pienamente alla vita: aprire un ristorante per non più di una coppia al giorno, con un menu ad hoc, ritagliato sulla fisionomia e i possibili desideri dei clienti.

Ho trovato l’inizio di questo romanzo un po’ lento.
Anzi, molto lento, al punto che cominciavo a stancarmene. Lo salvavano le descrizioni stupende della preparazione dei cibi, e l’eleganza della scrittura.
Così ho continuato, e me ne sono innamorata.
Non è un libro dai grandi avvenimenti, la trama è molto semplice anzi, oserei quasi azzardare che la trama non c’è o comunque è ridotta al minimo.
Ma il ristorante di Ringo, il Lumachino, mi ha davvero catapultata in un mondo magico.
Questa volta non mi dilungherò molto sui personaggi: la protagonista ha davvero pochi contatti con gli altri personaggi, i dialoghi sono scarsi e tutto si concentra sulle descrizioni e sulle riflessioni di Ringo.
L’intensità di questo romanzo, per quanto mi riguarda, sta nei sentimenti.
Lo stile contribuisce senza dubbio ad aiutare in questo. Dire che il libro è scritto benissimo, per me, è dire poco. Ho trovato frasi stupende, uno stile musicale, lento, davvero suggestivo. Mi è piaciuto davvero tanto, diciamo che l’ho trovato il punto saliente del romanzo.
In rete ho trovato spesso critiche sulla scena della macellazione del maialino. Ammetto che è stata straziante, ma lo confesso: l’ho trovato il punto più sublime del romanzo. L’intensità dei sentimenti, il dolore della protagonista e allo stesso tempo una sorta di tranquillità che deriva da quella scena… E’ stato semplicemente perfetto.

In conclusione, è un romanzo che consiglio con tutto il cuore.
L’ho davvero adorato, e sono contenta di non essermi fatta scoraggiare dalla lentezza delle prime pagine: vale la pena di arrivare fino in fondo.

Will Davis – La mia versione dei fatti

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La mia versione dei fatti
Will Davis

La mia versione dei fatti

In questi giorni avrei avuto Musashi in lettura, ma sono andata in biblioteca e sono tornata a casa con questo romanzo che era da tempo nella mia lista dei desideri e così, visto che alla fine dovrò restituirlo, l’ho letto prima di concludere Musashi.

Trama in breve: Cosa succederebbe se i tuoi genitori si odiassero e ti volessero mandare in analisi? Cosa succederebbe se tua sorella saccente e santarella, e il suo gruppo di amici avessero deciso che devono spedirti all’inferno? Cosa succederebbe se il bullo della scuola e i suoi compari stessero cercando di darti una lezione e se il tuo migliore amico avesse appena svelato la tua sessualità a un neo-nazista? A Jarold, Jaz per gli amici, nulla di particolare, nessuno di questi problemi pare togliergli il sonno, almeno finché non incontra l’uomo dei suoi sogni al club gay della sua zona. E all’improvviso le cose si fanno più complicate.

Questa volta è il protagonista stesso, e quindi l’autore, a dirci che non c’è grande trama in queste pagine: è vero.
E’ la storia di un adolescente, che si trova con una famiglia con cui non riesce ad andare d’accordo, una migliore amica fissata con la politica e una scuola piena di bulletti che non vedono l’ora di fargli la pelle.
Non c’è molto da dire su questo romanzo, per quanto mi riguarda.
Il protagonista è la nostra voce narrante, tutto ci viene riferito in prima persona e la prima cosa che ho pensato è che tutti questi personaggi sono completamente schizzati.
Il primo premio credo vada alla madre del protagonista, ma anche lui si difende bene e aggiungerei che anche l’amica, Al, ha seri problemi.
Nonostante questo, non dico di averli del tutto disprezzati, solo che sono talmente esagerati che non mi hanno lasciato nulla, in particolare la madre del protagonista, che per quanto mi riguarda è descritta in modo davvero esagerata.
Per contro, ci sono personaggi interessanti che non sono stati per niente approfonditi, ovviamente per motivi di trama, e tra questi includerei tutti gli altri.
Trovo che ci sia stata una certa fretta nel tratteggiarli: fanno tante cose, ma di loro mi è rimasto poco.
Il libro non segue l’ordine cronologico, e se non fosse il protagonista ad aiutarci a raccapezzarci ammetto che sarebbe tutto molto confuso: il fatto che lui spieghi esattamente quando si svolge un fatto mi ha aiutata a non perdere il filo, ma non l’ho apprezzato.
Quello che mi è piaciuto è stato il modo in cui è scritto.
Il protagonista è ironico, quasi brutale nelle sue descrizioni. Non ci sono fronzoli né eleganza, c’è un linguaggio schietto che mi è piaciuto e in alcuni punti mi ha fatta anche divertire. Direi che è senza dubbio quello che considero il punto di forza del romanzo.

In conclusione, non mi sento di sconsigliare questo romanzo, ma nemmeno di consigliarlo.
A me è piaciuto moderatamente, diciamo che è stato uno svago piacevole ma mi ha lasciato poco. Forse, dopo averne letto recensioni entusiaste in giro per il web, mi aspettavo troppo.

Lisa See – La ragazza di giada

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La ragazza di giada
Lisa See

la ragazza di giada

Ho letteralmente adorato, di quest’autrice, “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, quindi come potevo non acquistare anche questo libro?
In realtà ho poi avuto difficoltà a finirlo, non mi è sembrato accattivante come l’altro.

Trama in breve: Nella Cina del XVII secolo, Peonia, una ragazza appartenente alla prestigiosa famiglia Chen, è promessa sposa a un uomo che non conosce.
Il giorno del suo sedicesimo compleanno, durante l’allestimento dell’opera Il Padiglione delle Peonie, conosce un ragazzo di cui si innamora a prima vista, ricambiata. Ma Peonia è consapevole di non poter cedere, visto il suo imminente matrimonio con l’uomo sconosciuto che i genitori le hanno scelto.
Da qui inizia il tormento della ragazza, che ha risvolti importantissimi e molto particolari.

Partiamo dal presupposto che parlare di questo libro è difficile perché non voglio fare spolier, e buona parte della mia perplessità arriva proprio dal colpo di scena che conclude la prima parte del romanzo, che mi ha lasciato tanto basita da farmi abbandonare la lettura per due giorni interi.
Una volta ritrovata la voglia di continuare, ho constatato che comunque Lisa See non si smentisce: la ricostruzione storica è accurata e dettagliata, sono stata davvero catapultata in un mondo diverso, con rituali e tradizioni che mi sono entrati nel cuore, per quanto siano così diversi dalla mia realtà.
Grandi protagoniste del romanzo sono le donne, anche se la loro vita ruota attorno agli uomini.
Peonia, naturalmente, la giovane protagonista. L’ho apprezzata molto: è una normale ragazza di sedici anni, ovviamente calata in un contesto diverso dal nostro, con la sua leggerezza da una parte, e dall’altra il desiderio e il dovere di compiacere i genitori e tenere alto il nome della famiglia.
C’è sua madre, una donna forte, con un passato importante da svelare, fondamentale nelle vicende della figlia.
Tan Ze, bimba di nove anni all’inizio del romanzo, la ritroviamo adulta in seguito, viziata e arrogante.
Poi la piccola Yi, una ragazza fragile fisicamente ma con uno spirito fortissimo, capace di cambiare le sorti di Peonia e di Tan Ze.
Peonia, Tan Ze e Yi sono legate, sono mogli-gemelle: per capire è necessario leggere il romanzo, o svelo l’intero intreccio.
Ci sono anche gli uomini, ovviamente, ma fanno da contorno. Sono la causa scatenante di tutto ma alla fine non risolvono e non concludono niente. La storia si svolge nelle camere interne, dove vivono le donne, e soprattutto si concentra sulle loro passioni e sui loro desideri.

In conclusione, non lo ritengo ai livelli di “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, ma lo ritengo un bel romanzo.
Io, poi, con la passione per la storia, continuo a essere innamorata delle descrizioni di questa donna, che per quanto mi riguarda valgono l’intero romanzo. Sono stata letteralmente catapultata nella Cina del XVII secolo, e non posso quindi che consigliare con tutto il cuore questo romanzo.

Margaret Atwood – La donna da mangiare

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La donna da mangiare
Margaret Atwood

La donna da mangiare

Margaret Atwood fa parte della mia rosa di autori preferiti.
Innamoratami di lei grazie a La donna che rubava i mariti, mi sono impossessata di tutti i suoi romanzi, e piano piano li sto leggendo.
In questi giorni è toccato a questo.

Trama in breve: Marian è una donna che lavora presso “Indagini di mercato Seymour”, ha un fidanzato di nome Peter e vive con un’amica femminista decisamente particolare.
Durante un’indagine sulla birra condotta per lavoro Marian conosce Duncan, un ventiseienne dall’aspetto di un ragazzino che subito la ammalia per la sua aria da bimbo indifeso e che poi ritroveremo nel corso di tutto il romanzo.
I problemi di Marian iniziano nel momento in cui Peter le propone di sposarla, facendo crollare le sue certezze e spingendola a farsi domande su se stessa e su ciò che vuole essere.
E’ in questo periodo che Marian, senza nemmeno sapere bene perché, smette di mangiare, e l’unico modo per riuscire a tornare “normale” è quello di capire che cosa vuole dalla propria vita.

Inizio dicendo che la traduzione fa accapponare la pelle.
Se avessi letto un altro “egli” o “essa” giuro che avrei dato fuoco al libro. Per fortuna è terminato prima che la mia soglia di sopportazione venisse brutalmente infranta. Mi rendo conto che questo è un problema che non posso attribuire al romanzo in sé, ma non avendo a disposizione la versione originale mi trovo costretta a farci i conti.
Ignorando il problema dell’esubero di pronomi, mi sono addentrata nella lettura.
Il libro è diviso in tre parti; la prima è, detta banalmente, noiosa. E’ lenta, non succede nulla e non mi ha colpita particolarmente se non per la pateticità della protagonista e l’assoluto odio che ho sviluppato per tutti gli altri personaggi.
La seconda parte l’ho trovata migliore, sul serio, e soprattutto ho trovato che il personaggio di Duncan, su cui mi soffermerò più avanti, abbia alzato il livello della storia.
La terza parte, corrispondente, se vogliamo, a un epilogo, dà senso al libro in sé ed è stata tutto sommato piacevole.
Visto che la trama non ha grandi avvenimenti (cosa che non è assolutamente negativa, per me), passo ai personaggi che sono il punto più importante.
Non saprei fare una classifica dei più odiosi.
Duncan escluso, li ho odiati tutti dal primo all’ultimo. Forse quella che ho digerito meno è stata Clara, amica di Marian, madre di tre figli e donna sciatta e inconcludente.
Questa avversione per i personaggi mi deriva probabilmente da una mentalità molto diversa da quella che ognuno di loro ostenta: dalle loro bocche esce l’idea di un mondo in cui la donna è chiusa in casa a fare figli, e l’uomo esce a lavorare.
L’ho trovato pesante, in quanto è praticamente il tema di fondo del romanzo, e anche abbastanza disturbante.
Duncan è un’eccezione: si potrebbe definire un anticonformista, o forse semplicemente uno che fa quello che gli va di fare perché gli va di farlo. Si ritiene bisognoso di cure, definisce i suoi due coinquilini, studenti come lui “genitori” e si dimostra più simile a un bambino/adolescente che a un adulto, anche se è davvero difficile dare un’interpretazione di questo personaggio che è l’unico che ho amato.
Anche la protagonista, Marian, è piuttosto insopportabile, almeno per la prima metà del libro. E’ scialba, non ha carattere, si fa maneggiare come un burattino, almeno fino a quando inizia a mostrare segni di squilibrio e a porsi più domande, allora la questione cambia e lei diventa un personaggio molto più apprezzabile.

In conclusione, non mi sento di consigliare questo romanzo.
Lo stile della Atwood ha senza dubbio fascino, ma per me questo libro è stato pesante e inconcludente.

Sciltian Gastaldi – Angeli da un’ala soltanto

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Angeli da un’ala soltanto
Sciltian Gastaldi

Angeli da un'ala soltanto

Questo è nella mia libreria da tantissimo tempo, e alla fine ho deciso di leggerlo.
Meglio tardi che mai!

Trama in breve: Francesco ed Emanuele hanno diciannove anni, sono due ragazzi normali, con una vita normale, che si amano più che mai. Francesco ha perso la madre da piccolo, vive con una sorella che cerca di sostituirla come può e un padre assente, che lo disapprova. Dal suo punto di vista viviamo la sua intensissima relazione con Emanuele, un ragazzo particolare che l’ha davvero incantato.

Mi è piaciuto.
La trama è molto semplice, in realtà: sono due ragazzi che si amano, semplicemente, e come tutti gli innamorati fanno progetti, litigano, hanno incomprensioni anche molto profonde.
Per quanto riguarda i personaggi, li ho apprezzati.
Sono persone normali, con i loro difetti, le loro incongruenze e a volte degli atteggiamenti molto stupidi. E’ una cosa che mi è piaciuta tanto, mi ha fatto sembrare la storia molto più viva, è stato facile immedesimarsi nella voce narrante, Francesco.
Tutto è filtrato dai suoi occhi, ed è stato molto piacevole leggere questa storia attraverso di lui, in particolare per quanto riguarda il personaggio di Emanuele.
E’ un ragazzo particolare, io l’ho odiato e amato allo stesso tempo; sicuramente è molto vero.
Diciamo che mi sono piaciute molto meno le lunghissime mail che i protagonisti si scrivono, in particolare quelle scritte da Emanuele. Dunque, questo personaggio frequenta il classico e okay, ci sta che abbia un linguaggio forbito, non dico di no. Però secondo me si è esagerato. Emanuele ha diciannove anni e parla e scrive come un accademico della Crusca.
Ecco, questa secondo me è la nota dolente del libro: non ho trovato verosimili i dialoghi. I protagonisti sono due diciannovenni che parlano come novelli Dante, con espressioni eleganti, complesse, lontane dal linguaggio quotidiano. Insomma, il libro è recente (2004) e mi sarei aspettata qualcosa di più verosimile da questo punto di vista. Se sia una scelta precisa dell’autore non lo so, ma a me non è piaciuto.
Questo non toglie che sia un bel libro: non lo definirei un capolavoro, ma una lettura molto piacevole sì.
Mentirei se dicessi che non mi ha coinvolta moltissimo e che ero impaziente di vedere come si sarebbe evoluta la situazione tra i due protagonisti.

In conclusione, direi che lo consiglio parzialmente.
Insomma, se siete alla ricerca di un libro piacevole ma non molto di più, è una lettura più che adeguata.
Io forse, dopo averne letto recensioni entusiaste in giro per il web, mi aspettavo troppo.

Eleonora Caruso – Comunque vada non importa

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Comunque vada non importa
Eleonora Caruso

Comunque vada non importa

Confesso, sono sempre titubante quando si parla di esordienti.
Insomma, non danno la stessa sicurezza di un autore conosciuto e magari amato, no?
Non a caso, nella mia libreria girano sempre gli stessi nomi, alla fine.
Bene, parliamo di questo romanzo, allora.

Trama in breve: Darla e il fratello Andrea si sono trasferiti a Milano da Novara, con l’intento di studiare all’università.
Sono fratelli, diversi tra loro eppure simili. Andrea è intelligente, bello, e con i suoi comportamenti autodistruttivi mette in ombra la sorella.
Darla, la nostra protagonista, vive sul divano davanti al pc. Letteralmente. A cercare di salvarli Alessandro, fidanzato di Andrea, che tiene a entrambi, che è affezionato loro nonostante siano due personalità difficili.

La trama, bene o male, è questa.
Sembra poca cosa, e in effetti se cerchiamo avvenimenti entusiasmanti in questo libro faremo fatica a trovarne.
Ma è bello. E’ bello davvero.
Darla è una donna vera, dannazione, diversa dai soliti libri. Anzi, è più di una donna vera! E’ sciatta, infantile, è pure sporca, ma quanto sono veri i suoi pensieri io non lo so dire. E’ anche incoerente, non sa nemmeno lei cosa vuole, però lo vuole. E’ egoista, tantissimo, ma chi non è egoista in realtà? Darla è vera, per quanto mi riguarda.
Posso dire di avere amato alla follia questa protagonista? Lo dico.
L’ho amata più che mai.
Così come ho amato e odiato Andrea, che è una presenza evanescente ma che si sente, eccome. In fin dei conti, è lui il fulcro che muove tutto, è intorno a lui che ruotano i personaggi e tutta la vicenda.
E’ un romanzo veloce: si legge in un pomeriggio.
Questo non vuol dire che sia semplice. Io ho riso leggendolo, ma ci sono anche rimasta male. Ho provato una forte malinconia quando Darla parlava del rapporto con il padre, con il fratello, con le amiche.
Non è un libro che ha una storia da raccontare, questo no. Ci mostra uno spaccato di vita, ecco tutto.
Io non guardo la trama di un libro, non mi interessa se per duecento pagine non succede niente.
Questo romanzo è scritto bene. Punto. E a me è piaciuto tantissimo così com’è.
Non ci sono fronzoli, anche lo stile è duro, secco. In sintonia con Darla, l’io-narrante di tutta la vicenda.

In conclusione, io lo consiglio.

Thomas Mann – La morte a Venezia

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La morte a Venezia
Thomas Mann

La morte a venezia

Lo confesso, l’ho abbandonato.
Il mio Kindle segnava il 48% quando ho deciso di lasciar perdere, quindi diciamo che fino a metà sono arrivata.

Trama in breve (Dal sito lafeltrinelli.it): Una Venezia estiva ammorbata da una peste incombente ospita l’inquieto Gustav Aschenbach, famoso scrittore tedesco che ha costruito vita e opera sulla più ostinata fedeltà ai canoni classici dell’etica e dell’estetica. Un sottile impulso lo scuote nel momento in cui compare sulla spiaggia del Lido la spietata bellezza di Tadzio, un ragazzo polacco. Un unico gioco di sguardi, la vergogna della propria decrepitezza, la scelta di imbellettarsi per nasconderla, sono i passi che scandiscono la vicenda. In pieno Novecento, Thomas Mann ha colto e rappresentato la grande cultura borghese in via di dissoluzione, in un’opera emblematica che fonde la perfezione formale con la rappresentazione degli aspetti patologici di quella crisi.

Allora.
Io di pazienza, quando si tratta di libri, ne ho tanta.
Posso sopportare dieci pagine in cui non succede nulla, in cui ci sono solo descrizioni. Sul serio. Io ho letto tutta la descrizione della Cattedrale di Notre-Dame de Paris e quella dello specchio del Nome Della Rosa.
Ma quando per mezzo libro non succede assolutamente nulla, io non ce la faccio.
Lo confesso, sono stata insofferente fin dalle prime pagine. Ci viene presentato il protagonista, Aschenbach. In mezzo libro non si fa altro che dire com’è quest’uomo. Il suo carattere e i suoi pensieri.
Ma mai una volta che ci vengano mostrati!
Insomma, se mi dici che è un uomo laborioso, fammi vedere perché lo è. No. Qui è tutto descritto.
Ho trovato anche la scrittura di difficile comprensione. Okay, so che stiamo parlando di un romanzo del 1912, so che lo stile non è quello di oggi, ci mancherebbe. Però l’ho trovato troppo altisonante, troppo pesante da leggere. Ovviamente qui si parla di traduzione, non avendo la possibilità né la capacità di leggere l’originale, ma questo è il punto.

Insomma, in conclusione, io non sono nemmeno riuscita ad arrivare in fondo. Probabilmente è un limite mio, visto che il libro è tanto osannato, ma veramente non l’ho potuto reggere.
Pertanto no, non lo consiglio per nulla.

Yukio Mishima – Ali

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Ali
Yukio Mishima

Ali

Io con Mishima ci provo sempre.
Dopo aver adorato Confessioni di una maschera e aver finito a fatica Colori proibiti, ho deciso di riprovare con Ali.
“Son trenta pagine”, mi sono detta, “puoi farcela”.

Trama in breve: Yoko e Sugio, cugini, provano una forte attrazione l’uno per l’altro. Ognuno dei due immagina sulle spalle dell’altro delle ali che lo rendono speciale, diverso dal resto del mondo. Ali che tornano, poi, e che sono più pesanti di quanto pensavano.

Mishima ha uno stile inconfondibile, per quanto mi riguarda, e quest’opera, con la sua brevità, è perfetta così com’è.
Sono trenta pagine intense, dolci, sensuali e ricche di sentimento. Come scrive lui, non scrive nessuno.
Personalmente trovo che lo stile di questo autore si esprima meglio quando non si dilunga troppo, o almeno così mi è parso dopo essermi confrontata con due dei suoi romanzi più questo racconto.
L’eleganza e la raffinatezza delle sue descrizioni ogni volta mi rapisce, qui più che mai.
L’idea delle ali è splendida, resa benissimo.
E’ difficile dire tanto su un testo così breve, ma in fin dei conti trovo che non ci sia davvero molto da dire se non “leggetelo, merita”.

Jamie Ford – Il gusto proibito dello zenzero

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Il gusto proibito dello zenzero
Jamie Ford

Recensione

Lo confesso: l’ho comprato perché sono stata conquistata dagli occhioni della bimba in copertina.
Non me ne sono pentita per nulla; l’ho trovato un libro davvero stupendo.

Trama in breve: Henry è cinese nato in America, Keiko è giapponese, anche lei nata in America.
Siamo negli anni ’40, anni di forte discriminazione nei confronti dei giapponesi: la guerra mondiale è in atto e i giapponesi sono il nemico. Nonostante questo, Henry e Keiko fanno amicizia e si innamorano. Ci penseranno poi i programmi anti-giapponese a separarli, ma Henry e Keiko non si dimenticheranno mai.

E’ un libro commovente come pochi tra quelli che ho letto.
Confesso: pur essendo una lettrice accanita, mi capita molto di rado di commuovermi. In questo caso, confesso che una profonda malinconia non mi ha mai abbandonata, durante la lettura.
Lettura che, tra l’altro, è durata appena un paio di giorni. Eh sì, perché una volta iniziato non riuscivo più a fermarmi: avevo bisogno di seguire ancora Henry, il nostro protagonista.
Ho trovato personaggi ben costruiti, situazioni quotidiane che si intrecciano che uno dei capitoli bui della storia americana recente, e tanto, tanto sentimento.
Ammetto che di tanto in tanto ho trovato Henry un po’ troppo maturo. Nella maggior parte della narrazione ha dodici anni: premettendo che sì, è vero che la sua situazione familiare lo porta a crescere in fretta, in alcuni passaggi fa ragionamenti che ho trovato complessi per un ragazzo di quell’età, anche se senza dubbio si vede l’ingenuità, la spontaneità di un dodicenne che si trova invischiato in fatti che non capisce, e contro cui prova a combattere.
Ecco, questo è il punto di forza di Henry: lui ci prova, ci prova sempre, per quarant’anni. Anche se ha contro tutti, anche se è difficile, se non impossibile, lui cerca la sua Keiko per quarant’anni.
Come va a finire? Lascio a voi il piacere di scoprirlo.

In conclusione, consiglio questo libro con tutto il cuore: se cercate una storia dolce-amara, che vi faccia stare incollati alle pagine e che vi faccia commuovere ed emozionare, questo è il libro che fa per voi.

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