Lisa See – Le perle del Drago Verde

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Lisa See
Le perle del Drago Verde

Mi sono innamorata di quest’autrice con “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, perciò non appena ho trovato questo romanzo non ho potuto fare a meno di acquistarlo.

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Trama in breve: Unite da un profondo affetto e dalle vicende di un’esistenza travagliata, le sorelle May e Pearl Chin, dopo una giovinezza felice a Shangai, la “Parigi d’Oriente”, vivono nella Los Angeles degli anni Cinquanta costrette dal padre a un matrimonio d’interesse con i fratelli Louie. Nella Chinatown della città, le due famiglie hanno allevato Joy, ora diciannovenne, che scopre per caso con dolore di non essere figlia di Pearl e Sam, come ha sempre creduto, bensì di May e del suo grande amore di gioventù, il pittore cinese Z.G.
Sconvolta, la ragazza decide di recarsi nel Paese al quale sente di appartenere, per conoscere il suo vero padre. Ma la Cina che l’attende è la Cina del Grande Balzo in avanti, un Paese in cui gli individui non contano nulla, piegati dal potere e dalle sue richieste spietate. Lo stesso padre di Joy è osteggiato dal nuovo regime in quanto artista e sta per partire per la campagna dove dovrà imparare dalla vita reale e fare autocritica. Nel suo entusiasmo cieco per il Paese che sente come suo, Joy decide di seguirlo e in un villaggio sperduto si innamora di Tao Feng, un contadino.
Nel frattempo a Los Angeles, la “madre” di Joy, Pearl, decide di recarsi a sua volta in Cina per riportare a casa “sua” figlia…

All’inizio ammetto di non essere stata contenta di questo romanzo.
Mi sembrava lento, e per le prime pagine non è riuscito ad appassionarmi. Complice il mio amore per l’Oriente e la storia, ho deciso di continuare e non me ne sono per niente pentita.
Parto dai personaggi.
Protagoniste della vicenda sono Joy e Pearl, le cui voci si alternano nei capitoli del romanzo, facendoci seguire separatamente le vicende dell’una e dell’altra. Confesso che per me è stato più facile immedesimarmi in Pearl, la madre, mentre ho trovato “poco digeribile” il personaggio di Joy.
E’ una ragazza di appena vent’anni, con la testa piena di ideali sul comunismo che le sono stati inculcati in America, dove viveva fino alla decisione di trasferirsi in Cina. Nel romanzo si nota senza dubbio tutta la sua ingenuità, la sua cecità davanti ai problemi del Paese che lei ritiene perfetto nonostante veda con i propri occhi che tutto perfetto, in effetti, non è. Posso dire di averla trovata caparbia e infantile, ma ho assolutamente apprezzato la sua costruzione, e la maturazione che subisce. Senza dubbio alla fine del romanzo Joy non è la stessa delle prime pagine: ha imparato dai propri errori ed è maturata molto.
Pearl esprime l’angoscia di una madre che per anni ha mentito alla figlia e ora teme di perderla. E’ una donna forte, lo si capisce benissimo nonostante le insicurezze che dimostra di avere in alcuni passaggi. E’ una madre capace di permettere alla figlia di vivere la propria vita, anche se sa che questo le causerà dei guai. Sospesa a metà tra il ricordo della giovinezza e la vita attuale, è un personaggio profondo e commovente.
Per quanto riguarda il padre di Joy, Z.G., ammetto di averlo trovato sfuggente e di non averlo compreso fino in fondo.
Altro personaggio ben costruito è senza dubbio l’ambiguo Tao, che ho trovato dolce e gentile fino a metà romanzo, quando la stessa Joy scopre la sua vera natura.
A fare da sfondo alle vicende di questi personaggi troviamo la Cina del Grande Balzo in avanti, davvero ben descritta con i suoi aspetti positivi e con quelli negativi. In particolar modo è Joy quella che ci mostra l’idealizzazione dell’opera di Mao, mentre Pearl, al contrario, riserva a tutta la rivoluzione uno sguardo critico che ne mette in evidenza le ambiguità e i difetti.

In conclusione, è un romanzo che, nonostante la lentezza iniziale, mi sento di consigliare.
E’ coinvolgente e ben strutturato, i personaggi sono ben costruiti e hanno una notevole evoluzione.

Lisa See – La ragazza di giada

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La ragazza di giada
Lisa See

la ragazza di giada

Ho letteralmente adorato, di quest’autrice, “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, quindi come potevo non acquistare anche questo libro?
In realtà ho poi avuto difficoltà a finirlo, non mi è sembrato accattivante come l’altro.

Trama in breve: Nella Cina del XVII secolo, Peonia, una ragazza appartenente alla prestigiosa famiglia Chen, è promessa sposa a un uomo che non conosce.
Il giorno del suo sedicesimo compleanno, durante l’allestimento dell’opera Il Padiglione delle Peonie, conosce un ragazzo di cui si innamora a prima vista, ricambiata. Ma Peonia è consapevole di non poter cedere, visto il suo imminente matrimonio con l’uomo sconosciuto che i genitori le hanno scelto.
Da qui inizia il tormento della ragazza, che ha risvolti importantissimi e molto particolari.

Partiamo dal presupposto che parlare di questo libro è difficile perché non voglio fare spolier, e buona parte della mia perplessità arriva proprio dal colpo di scena che conclude la prima parte del romanzo, che mi ha lasciato tanto basita da farmi abbandonare la lettura per due giorni interi.
Una volta ritrovata la voglia di continuare, ho constatato che comunque Lisa See non si smentisce: la ricostruzione storica è accurata e dettagliata, sono stata davvero catapultata in un mondo diverso, con rituali e tradizioni che mi sono entrati nel cuore, per quanto siano così diversi dalla mia realtà.
Grandi protagoniste del romanzo sono le donne, anche se la loro vita ruota attorno agli uomini.
Peonia, naturalmente, la giovane protagonista. L’ho apprezzata molto: è una normale ragazza di sedici anni, ovviamente calata in un contesto diverso dal nostro, con la sua leggerezza da una parte, e dall’altra il desiderio e il dovere di compiacere i genitori e tenere alto il nome della famiglia.
C’è sua madre, una donna forte, con un passato importante da svelare, fondamentale nelle vicende della figlia.
Tan Ze, bimba di nove anni all’inizio del romanzo, la ritroviamo adulta in seguito, viziata e arrogante.
Poi la piccola Yi, una ragazza fragile fisicamente ma con uno spirito fortissimo, capace di cambiare le sorti di Peonia e di Tan Ze.
Peonia, Tan Ze e Yi sono legate, sono mogli-gemelle: per capire è necessario leggere il romanzo, o svelo l’intero intreccio.
Ci sono anche gli uomini, ovviamente, ma fanno da contorno. Sono la causa scatenante di tutto ma alla fine non risolvono e non concludono niente. La storia si svolge nelle camere interne, dove vivono le donne, e soprattutto si concentra sulle loro passioni e sui loro desideri.

In conclusione, non lo ritengo ai livelli di “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, ma lo ritengo un bel romanzo.
Io, poi, con la passione per la storia, continuo a essere innamorata delle descrizioni di questa donna, che per quanto mi riguarda valgono l’intero romanzo. Sono stata letteralmente catapultata nella Cina del XVII secolo, e non posso quindi che consigliare con tutto il cuore questo romanzo.

Margaret Atwood – La donna da mangiare

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La donna da mangiare
Margaret Atwood

La donna da mangiare

Margaret Atwood fa parte della mia rosa di autori preferiti.
Innamoratami di lei grazie a La donna che rubava i mariti, mi sono impossessata di tutti i suoi romanzi, e piano piano li sto leggendo.
In questi giorni è toccato a questo.

Trama in breve: Marian è una donna che lavora presso “Indagini di mercato Seymour”, ha un fidanzato di nome Peter e vive con un’amica femminista decisamente particolare.
Durante un’indagine sulla birra condotta per lavoro Marian conosce Duncan, un ventiseienne dall’aspetto di un ragazzino che subito la ammalia per la sua aria da bimbo indifeso e che poi ritroveremo nel corso di tutto il romanzo.
I problemi di Marian iniziano nel momento in cui Peter le propone di sposarla, facendo crollare le sue certezze e spingendola a farsi domande su se stessa e su ciò che vuole essere.
E’ in questo periodo che Marian, senza nemmeno sapere bene perché, smette di mangiare, e l’unico modo per riuscire a tornare “normale” è quello di capire che cosa vuole dalla propria vita.

Inizio dicendo che la traduzione fa accapponare la pelle.
Se avessi letto un altro “egli” o “essa” giuro che avrei dato fuoco al libro. Per fortuna è terminato prima che la mia soglia di sopportazione venisse brutalmente infranta. Mi rendo conto che questo è un problema che non posso attribuire al romanzo in sé, ma non avendo a disposizione la versione originale mi trovo costretta a farci i conti.
Ignorando il problema dell’esubero di pronomi, mi sono addentrata nella lettura.
Il libro è diviso in tre parti; la prima è, detta banalmente, noiosa. E’ lenta, non succede nulla e non mi ha colpita particolarmente se non per la pateticità della protagonista e l’assoluto odio che ho sviluppato per tutti gli altri personaggi.
La seconda parte l’ho trovata migliore, sul serio, e soprattutto ho trovato che il personaggio di Duncan, su cui mi soffermerò più avanti, abbia alzato il livello della storia.
La terza parte, corrispondente, se vogliamo, a un epilogo, dà senso al libro in sé ed è stata tutto sommato piacevole.
Visto che la trama non ha grandi avvenimenti (cosa che non è assolutamente negativa, per me), passo ai personaggi che sono il punto più importante.
Non saprei fare una classifica dei più odiosi.
Duncan escluso, li ho odiati tutti dal primo all’ultimo. Forse quella che ho digerito meno è stata Clara, amica di Marian, madre di tre figli e donna sciatta e inconcludente.
Questa avversione per i personaggi mi deriva probabilmente da una mentalità molto diversa da quella che ognuno di loro ostenta: dalle loro bocche esce l’idea di un mondo in cui la donna è chiusa in casa a fare figli, e l’uomo esce a lavorare.
L’ho trovato pesante, in quanto è praticamente il tema di fondo del romanzo, e anche abbastanza disturbante.
Duncan è un’eccezione: si potrebbe definire un anticonformista, o forse semplicemente uno che fa quello che gli va di fare perché gli va di farlo. Si ritiene bisognoso di cure, definisce i suoi due coinquilini, studenti come lui “genitori” e si dimostra più simile a un bambino/adolescente che a un adulto, anche se è davvero difficile dare un’interpretazione di questo personaggio che è l’unico che ho amato.
Anche la protagonista, Marian, è piuttosto insopportabile, almeno per la prima metà del libro. E’ scialba, non ha carattere, si fa maneggiare come un burattino, almeno fino a quando inizia a mostrare segni di squilibrio e a porsi più domande, allora la questione cambia e lei diventa un personaggio molto più apprezzabile.

In conclusione, non mi sento di consigliare questo romanzo.
Lo stile della Atwood ha senza dubbio fascino, ma per me questo libro è stato pesante e inconcludente.

Geraldine Brooks – L’isola dei due mondi

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L’isola dei due mondi
Geraldine Brooks

L'isola dei due mondi

Questa volta mi riesce davvero difficile dare un’opinione sul romanzo.
Ho lasciato passare un paio di giorni per scrivere la recensione appunto per vedere se riuscivo a farmene un’idea più chiara; non ci sono riuscita. Ebbene, cominciamo.

Trama in breve: Bethia è figlia di un pastore impegnato in una missione di evangelizzazione dei Nativi d’America.
Siamo nel 1660 circa, in Nord America. Bethia e la sua famiglia sono inglesi, e si trovano a dover convivere con i wampanoag, tribù di indigeni di cui fa parte Caleb Cheeshahteaumauk.
La storia che leggiamo è la sua, vista tramite gli occhi di Bethia, che ci racconta come Caleb sia stato il primo indigeno a laurearsi ad Harvard, dopo essersi allontanato dalla sua tribù e dai suoi costumi per abbracciare il cristianesimo.

Dunque, partiamo dal fatto che questo romanzo è narrato in prima persona attraverso gli occhi di Bethia.
Questo ci catapulta in pagine dense di pensieri, di timore di Dio, di sensi di colpa e di riflessioni che però non sono riusciti a farmi immedesimare nel personaggio. Forse Bethia è troppo distante da una donna del ventunesimo secolo per poter essere un personaggio in cui immedesimarsi, ma questo senza dubbio non ha contribuito ad appassionarmi al libro.
Di Bethia c’è da dire che è una ragazza intelligente, determinata. Nonostante i precetti che le sono stati insegnati, si pone delle domande e mette in dubbio quello che sa, ma arriva a pentirsene, creando situazioni di forte contrasto tra quello che vuole e quello che deve fare.
E’ un romanzo di contrasti: non solo quello interiore di Bethia, ma anche quello con Caleb, rappresentante di una cultura forse troppo diversa. Ho apprezzato i discorsi dei due riguardo alla religione: Bethia, fervida credente, tenta di convincere Caleb della bontà di un Dio che lui non capisce. Caleb pone domande semplicissime a cui Bethia non sa rispondere, semplicemente perché la religione non le dà le risposte.
Il contrasto tra il cristianesimo e il paganesimo è molto forte nella prima metà del libro, si attenua con il cambiamento di Caleb e torna poi, alla fine, in veste rivisitata, in modo devo dire piacevole e molto umano.
Il punto dolente di questo romanzo per quanto mi riguarda è la mancanza di coinvolgimento. E’ scritto bene, presenta splendide descrizioni, ci dà uno spaccato della vita quotidiana dei coloni del Seicento che senza dubbio contribuisce a creare un’atmosfera particolare, ma niente di più.
Anche i momenti che sarebbero dovuti essere più ricchi di pathos non mi hanno lasciato nulla. Insomma, io qui ho trovato una mancanza di sentimento. Nella parte finale del romanzo mi sarebbe piaciuto leggere di più su alcuni passaggi che per me erano importanti, ma che per l’autrice evidentemente non meritavano attenzione.
In alcuni punti ho trovato la narrazione un po’ pesante, troppo incentrata sui pensieri di Bethia che però non sono stati capaci di coinvolgermi, come se a parlare fosse un robot.

In conclusione, non è un brutto romanzo, tutt’altro, però lo consiglio solo parzialmente.
Se cercate qualcosa che possa coinvolgervi, non credo che questa sia la lettura giusta per voi.

George R.R. Martin – [Le cronache del ghiaccio e del fuoco] Il trono di spade

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[Le cronache del ghiaccio e del fuoco] Volume 1
Il trono di spade
George R.R. Martin

Il trono di spade

Un libro che mi ha lasciato impressioni contrastanti, partendo dal presupposto che generalmente non leggo fantasy.
Se ho iniziato questo romanzo è stato essenzialmente per la sua fama: sapevo che mi sarei trovata davanti una saga infinita, ma la cosa non mi scoraggia.

Trama in breve: Sul Trono di Spade siede Robert Baratheon, un Re più dedito ai piaceri che al proprio regno. Il suo amico, Eddard Stark, regna su Grande Inverno con la moglie Catelyn, i figli Robb, Sansa, Arya, Bran e Rickon e il figlio bastardo Jon Snow.
Alla casa degli Stark si contrappone quella dei Lannister: Cersei Lannister, moglie di re Robert, donna crudele e ambiziosa, avrà ruolo fondamentale negli intrighi del libro.
Nella città libera di Pentos, i discendenti del precedente re, Viserys e Daenerys Targaryen, ormai soli al mondo, tentano di riconquistare il potere che è stato strappato al loro genitore. In realtà, è Viserys a volere il potere. Daenerys, appena tredicenne, diventa merce di scambio per l’ambizione del fratello, e viene donata a khal Drogo, signore dei dothraki, “uomini a cavallo” del continente orientale.
Le vicende di questo insieme di personaggi si intrecciano senza fine. Tutti sono protagonisti, e nessuno lo è: la narrazione è corale, ogni capitolo è dedicato a un personaggio.

E’ davvero difficile riassumere questo romanzo, così come è difficile parlarne.
Partiamo dalla prima cosa che mi ha colpita: la narrazione corale. I personaggi sono ben delineati, con caratterizzazioni umane. Hanno i loro difetti, i loro pregi. Insomma, sono personaggi a tutto tondo, niente da eccepire. Nonostante questo, ho trovato difficile addentrarmi nella storia, perché non c’è un protagonista, in ogni capitolo si salta a un personaggio diverso. Una volta che ci ho fatto l’abitudine è stato abbastanza facile entrare nella storia, questo è vero, ma ugualmente è una soluzione che mi piace fino a un certo punto.
Passiamo alla narrazione. Le descrizioni sono splendide, i dialoghi mi sono piaciuti molto. Forse, le descrizioni in alcuni punti sono troppo lunghe. L’atmosfera cambia, è vero, quando si descrive un luogo nei minimi dettagli, ma quando lo si fa per ogni luogo, io ho la forte tentazione di saltare delle parti. L’ho fatto, lo confesso.
La trama, invece, si merita un bel giudizio positivo. In realtà gli avvenimenti importanti si contano su una mano, ma per quanto mi riguarda sono le piccole cose che assumono valore e senza dubbio ho apprezzato tantissimo questa importanza per i piccoli avvenimenti quotidiani.
Nonostante tutto, ho letto questo libro in pochi giorni. Si può dire che una volta cominciato non sono riuscita a smettere finché non l’ho finito.
Nonostante questo, lo trovo sopravvalutato. Mi rendo conto che è il primo di una saga, e dunque per farmi un’idea più completa leggerò i prossimi romanzi (o almeno, questo è il proposito), tuttavia, anche se lo considero un bel libro, non lo considero un capolavoro come viene osannato, almeno per il momento.

In conclusione, lo consiglio. Sì, per me vale la pena di leggerlo, sempre partendo dal presupposto che si avrà una considerevole mole di volumi da smaltire, vista l’ampiezza della saga. Mi dissocio, però, dai commenti ultra-entusiasti che ho trovato in giro. L’ho apprezzato, punto.