Lisa See – Le perle del Drago Verde

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Lisa See
Le perle del Drago Verde

Mi sono innamorata di quest’autrice con “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, perciò non appena ho trovato questo romanzo non ho potuto fare a meno di acquistarlo.

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Trama in breve: Unite da un profondo affetto e dalle vicende di un’esistenza travagliata, le sorelle May e Pearl Chin, dopo una giovinezza felice a Shangai, la “Parigi d’Oriente”, vivono nella Los Angeles degli anni Cinquanta costrette dal padre a un matrimonio d’interesse con i fratelli Louie. Nella Chinatown della città, le due famiglie hanno allevato Joy, ora diciannovenne, che scopre per caso con dolore di non essere figlia di Pearl e Sam, come ha sempre creduto, bensì di May e del suo grande amore di gioventù, il pittore cinese Z.G.
Sconvolta, la ragazza decide di recarsi nel Paese al quale sente di appartenere, per conoscere il suo vero padre. Ma la Cina che l’attende è la Cina del Grande Balzo in avanti, un Paese in cui gli individui non contano nulla, piegati dal potere e dalle sue richieste spietate. Lo stesso padre di Joy è osteggiato dal nuovo regime in quanto artista e sta per partire per la campagna dove dovrà imparare dalla vita reale e fare autocritica. Nel suo entusiasmo cieco per il Paese che sente come suo, Joy decide di seguirlo e in un villaggio sperduto si innamora di Tao Feng, un contadino.
Nel frattempo a Los Angeles, la “madre” di Joy, Pearl, decide di recarsi a sua volta in Cina per riportare a casa “sua” figlia…

All’inizio ammetto di non essere stata contenta di questo romanzo.
Mi sembrava lento, e per le prime pagine non è riuscito ad appassionarmi. Complice il mio amore per l’Oriente e la storia, ho deciso di continuare e non me ne sono per niente pentita.
Parto dai personaggi.
Protagoniste della vicenda sono Joy e Pearl, le cui voci si alternano nei capitoli del romanzo, facendoci seguire separatamente le vicende dell’una e dell’altra. Confesso che per me è stato più facile immedesimarmi in Pearl, la madre, mentre ho trovato “poco digeribile” il personaggio di Joy.
E’ una ragazza di appena vent’anni, con la testa piena di ideali sul comunismo che le sono stati inculcati in America, dove viveva fino alla decisione di trasferirsi in Cina. Nel romanzo si nota senza dubbio tutta la sua ingenuità, la sua cecità davanti ai problemi del Paese che lei ritiene perfetto nonostante veda con i propri occhi che tutto perfetto, in effetti, non è. Posso dire di averla trovata caparbia e infantile, ma ho assolutamente apprezzato la sua costruzione, e la maturazione che subisce. Senza dubbio alla fine del romanzo Joy non è la stessa delle prime pagine: ha imparato dai propri errori ed è maturata molto.
Pearl esprime l’angoscia di una madre che per anni ha mentito alla figlia e ora teme di perderla. E’ una donna forte, lo si capisce benissimo nonostante le insicurezze che dimostra di avere in alcuni passaggi. E’ una madre capace di permettere alla figlia di vivere la propria vita, anche se sa che questo le causerà dei guai. Sospesa a metà tra il ricordo della giovinezza e la vita attuale, è un personaggio profondo e commovente.
Per quanto riguarda il padre di Joy, Z.G., ammetto di averlo trovato sfuggente e di non averlo compreso fino in fondo.
Altro personaggio ben costruito è senza dubbio l’ambiguo Tao, che ho trovato dolce e gentile fino a metà romanzo, quando la stessa Joy scopre la sua vera natura.
A fare da sfondo alle vicende di questi personaggi troviamo la Cina del Grande Balzo in avanti, davvero ben descritta con i suoi aspetti positivi e con quelli negativi. In particolar modo è Joy quella che ci mostra l’idealizzazione dell’opera di Mao, mentre Pearl, al contrario, riserva a tutta la rivoluzione uno sguardo critico che ne mette in evidenza le ambiguità e i difetti.

In conclusione, è un romanzo che, nonostante la lentezza iniziale, mi sento di consigliare.
E’ coinvolgente e ben strutturato, i personaggi sono ben costruiti e hanno una notevole evoluzione.

Suzanne Collins – [Hunger games] Hunger games

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Hunger games
Suzanne Collins

Hunger games

Ho iniziato questo libro essenzialmente perché una mia carissima amica ne è ossessionata, e a furia di parlarmene mi ha incuriosita. Quindi, eccomi a recensire il primo volume di questa ormai famosissima saga.

Trama in breve: Quando Katniss urla “Mi offro volontaria, mi offro volontaria come tributo!” sa di aver appena firmato la sua condanna a morte. E il giorno dell’estrazione dei partecipanti agli Hunger Games, un reality show organizzato ogni anno da Capitol City con una sola regola: uccidi o muori. Ognuno dei Distretti deve sorteggiare un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni che verrà gettato nell’Arena a combattere fino alla morte. Ne sopravvive uno solo, il più bravo, il più forte, ma anche quello che si conquista il pubblico, gli sponsor, l’audience. Katniss appartiene al Distretto 12, quello dei minatori, quello che gli Hunger Games li ha vinti solo due volte in 73 edizioni, e sa di aver poche possibilità di farcela. Ma si è offerta al posto di sua sorella minore e farà di tutto per tornare da lei. Da quando è nata ha lottato per vivere e lo farà anche questa volta. Nella sua squadra c’è anche Peeta, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa per farcela. Lui è determinato a mantenere integri i propri sentimenti e dichiara davanti alle telecamere di essere innamorato di Katniss. Ma negli Hunger Games non esistono gli amici, non esistono gli affetti, non c’è spazio per l’amore. Bisogna saper scegliere e, soprattutto, per vincere bisogna saper perdere, rinunciare a tutto ciò che ti rende Uomo. 

E’ un romanzo interessante, senza dubbio.
Ammetto di averlo praticamente divorato; non è molto lungo e la scrittura è piuttosto semplice, ci si concentra sui fatti più che sullo stile e questo lo rende una lettura leggera, tutto sommato, anche se l’argomento non lo è.
L’idea di rinchiudere dei ragazzini in uno spazio chiuso per costringerli a un gioco al massacro non è nuova; ricordo di aver letto diverso tempo fa Battle Royale di Koushun Takami e la trama è molto simile.
Detto questo, mi soffermo un attimo sui personaggi.
Partiamo dalla protagonista, Katniss, nostra eroina e voce narrante. Non nutro particolare simpatia per i protagonisti in generale, per Katniss, poi, meno che mai. Non è un brutto personaggio, ma non lo trovo gestito al meglio.
Cerco di spiegarmi. Katniss viene dal Distretto più povero, il numero 12. Infrangendo la legge, è una cacciatrice, passa le sue giornate nei boschi a procurare cibo alla madre e alla sorella, Prim. Ha per la sorellina un amore sconfinato, al punto che si sacrifica per prendere il suo posto negli Hunger games.
Ora, questa Katniss è una ragazza poco istruita (e si vede) e anche poco educata (si vede pure questo). Fin qui, tutto okay. E’ un personaggio dal carattere forte, resta impresso ed è ben descritto. Ecco una cosa che mi ha urtata non poco: tutti la adorano. Che lo dimostrino o meno, tutti si trovano incantati da questa ragazza, nonostante il suo carattere scontroso e anche decisamente opportunista. E’ una cosa che personalmente non ho apprezzato, in fin dei conti con un carattere simile mi sarei aspettata delle reazioni meno accondiscendenti.
Per quanto riguarda lo sviluppo e la costruzione della trama vera e propria, è tutto molto lineare. Gli Hunger games vengono descritti dall’inizio alla fine, seguiamo la protagonista attraverso i boschi dell’arena e ammetto che è coinvolgente proprio per il fatto che ci sono molte, moltissime azioni.
Il tempo per i sentimenti c’è, ma è ridotto e in questo caso non l’ho trovato un difetto. Il fatto che il romanzo sia scritto in prima persona ci aiuta senza dubbio a immedesimarci con la protagonista, perciò non c’è bisogno di passaggi di riflessione, li viviamo attraverso le sue azioni e le sue decisioni.
Ci sono stati passaggi che mi hanno commossa e altri che mi hanno divertita, il tutto ben proporzionato: è un libro essenzialmente di azione, non eccede nel melenso e allo stesso tempo non vuole far ridere per forza. Insomma, l’ho trovato equilibrato.

In conclusione, direi che lo consiglio come lettura semplice, non troppo impegnativa.
Un bel romanzo, anche se non un capolavoro; un modo piacevole per passare un paio di giorni.

Ito Ogawa – Il ristorante dell’amore ritrovato

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Il ristorante dell’amore ritrovato
Ito Ogawa

cover_libro

Mi piacciono i libri che parlano di cibo.
Li adoro; mi piacciono le descrizioni dei profumi, dei sapori, delle ricette. Non potevo davvero, quindi, lasciarmi scappare questo romanzo.

Trama in breve: Ringo, una ragazza che lavora nelle cucine di un ristorante turco di Tokyo, rientra una sera a casa con l’intenzione di preparare una cena succulenta per il suo fidanzato col quale convive da un po’. Con suo sommo sgomento, però, scopre che l’appartamento è completamente vuoto. Niente televisore, lavatrice, frigorifero, mobili, tende, niente di niente. Spariti persino gli utensili in cucina, il mortaio di epoca Meiji ereditato dalla nonna materna, la casseruola Le Creuset acquistata con la paga del suo primo impiego, il coltello italiano ricevuto in occasione del suo ventesimo compleanno. E, soprattutto, sparito il fidanzato indiano, maitre nel ristorante accanto al suo, un ragazzo con la pelle profumata di spezie. Lo choc di Ringo è tale che resta impietrita al centro della casa desolatamente vuota, la voce che non le esce più dalla bocca. Decide allora di ritornare al villaggio natio, dove non mette più piede da quando, quindicenne, è scappata di casa in un giorno di primavera. Là, appartata nella quiete dei monti, matura il suo dolore. Una mattina, però, osservando il granaio della casa materna, Ringo ha un’idea singolare per tornare pienamente alla vita: aprire un ristorante per non più di una coppia al giorno, con un menu ad hoc, ritagliato sulla fisionomia e i possibili desideri dei clienti.

Ho trovato l’inizio di questo romanzo un po’ lento.
Anzi, molto lento, al punto che cominciavo a stancarmene. Lo salvavano le descrizioni stupende della preparazione dei cibi, e l’eleganza della scrittura.
Così ho continuato, e me ne sono innamorata.
Non è un libro dai grandi avvenimenti, la trama è molto semplice anzi, oserei quasi azzardare che la trama non c’è o comunque è ridotta al minimo.
Ma il ristorante di Ringo, il Lumachino, mi ha davvero catapultata in un mondo magico.
Questa volta non mi dilungherò molto sui personaggi: la protagonista ha davvero pochi contatti con gli altri personaggi, i dialoghi sono scarsi e tutto si concentra sulle descrizioni e sulle riflessioni di Ringo.
L’intensità di questo romanzo, per quanto mi riguarda, sta nei sentimenti.
Lo stile contribuisce senza dubbio ad aiutare in questo. Dire che il libro è scritto benissimo, per me, è dire poco. Ho trovato frasi stupende, uno stile musicale, lento, davvero suggestivo. Mi è piaciuto davvero tanto, diciamo che l’ho trovato il punto saliente del romanzo.
In rete ho trovato spesso critiche sulla scena della macellazione del maialino. Ammetto che è stata straziante, ma lo confesso: l’ho trovato il punto più sublime del romanzo. L’intensità dei sentimenti, il dolore della protagonista e allo stesso tempo una sorta di tranquillità che deriva da quella scena… E’ stato semplicemente perfetto.

In conclusione, è un romanzo che consiglio con tutto il cuore.
L’ho davvero adorato, e sono contenta di non essermi fatta scoraggiare dalla lentezza delle prime pagine: vale la pena di arrivare fino in fondo.

Eiji Yoshikawa – Musashi

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Musashi
Eiji Yoshikawa

Musashi

Dal momento che sono appassionata di narrativa orientale e in particolare giapponese, non potevo non essere attratta da questo romanzo, così quando l’ho visto l’ho comprato all’istante.

Trama in breve: Siamo agli inizi del Seicento, il giovanissimo Miyamoto Musashi sogna di diventare samurai. Diventa una vera e propria forza della natura, diventa insuperabile nell’arte della spada, ma il suo cuore è sensibile anche all’amore e a sentimenti di profonda umanità.

Inizio con il dire che questo libro è composto di 848 pagine, che non sono poche.Non ho problemi a leggere romanzi chilometrici ma no, non ce l’ho fatta. Mi sono fermata che mi mancavano appena cinquanta pagine. Probabilmente è stato un problema mio, che in questo periodo non ho voglia di leggere, comunque non sono proprio riuscita a proseguire.
Ma andiamo con ordine.
Parto dicendo che l’inizio non è dei più appassionanti. Diciamo che mi ci sono volute un centinaio di pagine per entrare nel ritmo della storia, anche se ammetto che ci sono numerosi personaggi interessanti che compaiono fin da subito (in particolare ho apprezzato il monaco Takuan) e che mi hanno invogliata a continuare.
I personaggi sono davvero tanti, ma i più importanti ricorrono in tutta la vicenda e quindi, alla fine, sono riuscita ad apprezzarli e a riconoscerli nonostante la loro quantità e i loro non sempre facilissimi nomi.
Una nota dolente del romanzo per me è proprio il personaggio di Musashi.
L’ho trovato davvero, davvero insopportabile. Inizia come poco di buono e finisce modificando radicalmente il proprio modo di fare, spinto dal desiderio di perfezionarsi, e fin qui ci sta. Tuttavia, Musashi diventa letteralmente invincibile. Ribadisco, mi mancano le ultime cinquanta pagine quindi per quanto mi riguarda potrebbe anche essere morto e io non lo scoprirò mai, ma fino alla fine del romanzo Musashi resta imbattuto. E soprattutto, mai ferito.
Ora, che lui sia fortissimo ci sta, va bene. Ma che la ferita più grave che si procura sia un livido francamente mi è sembrato assurdo.
Senza dubbio questo è quello che mi ha dato più fastidio; per il resto, ho adorato questo libro.
E’ una storia d’avventura, ma nonostante questo è descritta con eleganza e con una grande cura per i dettagli, cosa che personalmente ho apprezzato tantissimo. Ho adorato le descrizioni, l’attenzione per i paesaggi e le atmosfere.
Mi è sembrato davvero di essere stata catapultata in un altro mondo, e senza dubbio per me è stato questo il punto di forza del romanzo.
Essendo lunghissimo, è davvero difficile per me trovare tutti i punti che mi sono piaciuti e tutti quelli che non mi sono piaciuti, diciamo che in generale mi è piaciuto davvero molto, nonostante i personaggi a tratti poco credibili o comunque spinti all’estremo.
Anche se non l’ho concluso, dunque, posso dire di aver sviluppato un giudizio assolutamente positivo di questo romanzo.

In conclusione, lo consiglio, anche se è una lettura che tiene abbastanza impegnati, se non per la storia quanto meno per la lunghezza e il gran numero di informazioni che riceviamo in queste quasi 900 pagine.

 

Will Davis – La mia versione dei fatti

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La mia versione dei fatti
Will Davis

La mia versione dei fatti

In questi giorni avrei avuto Musashi in lettura, ma sono andata in biblioteca e sono tornata a casa con questo romanzo che era da tempo nella mia lista dei desideri e così, visto che alla fine dovrò restituirlo, l’ho letto prima di concludere Musashi.

Trama in breve: Cosa succederebbe se i tuoi genitori si odiassero e ti volessero mandare in analisi? Cosa succederebbe se tua sorella saccente e santarella, e il suo gruppo di amici avessero deciso che devono spedirti all’inferno? Cosa succederebbe se il bullo della scuola e i suoi compari stessero cercando di darti una lezione e se il tuo migliore amico avesse appena svelato la tua sessualità a un neo-nazista? A Jarold, Jaz per gli amici, nulla di particolare, nessuno di questi problemi pare togliergli il sonno, almeno finché non incontra l’uomo dei suoi sogni al club gay della sua zona. E all’improvviso le cose si fanno più complicate.

Questa volta è il protagonista stesso, e quindi l’autore, a dirci che non c’è grande trama in queste pagine: è vero.
E’ la storia di un adolescente, che si trova con una famiglia con cui non riesce ad andare d’accordo, una migliore amica fissata con la politica e una scuola piena di bulletti che non vedono l’ora di fargli la pelle.
Non c’è molto da dire su questo romanzo, per quanto mi riguarda.
Il protagonista è la nostra voce narrante, tutto ci viene riferito in prima persona e la prima cosa che ho pensato è che tutti questi personaggi sono completamente schizzati.
Il primo premio credo vada alla madre del protagonista, ma anche lui si difende bene e aggiungerei che anche l’amica, Al, ha seri problemi.
Nonostante questo, non dico di averli del tutto disprezzati, solo che sono talmente esagerati che non mi hanno lasciato nulla, in particolare la madre del protagonista, che per quanto mi riguarda è descritta in modo davvero esagerata.
Per contro, ci sono personaggi interessanti che non sono stati per niente approfonditi, ovviamente per motivi di trama, e tra questi includerei tutti gli altri.
Trovo che ci sia stata una certa fretta nel tratteggiarli: fanno tante cose, ma di loro mi è rimasto poco.
Il libro non segue l’ordine cronologico, e se non fosse il protagonista ad aiutarci a raccapezzarci ammetto che sarebbe tutto molto confuso: il fatto che lui spieghi esattamente quando si svolge un fatto mi ha aiutata a non perdere il filo, ma non l’ho apprezzato.
Quello che mi è piaciuto è stato il modo in cui è scritto.
Il protagonista è ironico, quasi brutale nelle sue descrizioni. Non ci sono fronzoli né eleganza, c’è un linguaggio schietto che mi è piaciuto e in alcuni punti mi ha fatta anche divertire. Direi che è senza dubbio quello che considero il punto di forza del romanzo.

In conclusione, non mi sento di sconsigliare questo romanzo, ma nemmeno di consigliarlo.
A me è piaciuto moderatamente, diciamo che è stato uno svago piacevole ma mi ha lasciato poco. Forse, dopo averne letto recensioni entusiaste in giro per il web, mi aspettavo troppo.

Anthony Capella – Il pasticcere del re

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Il pasticcere del re
Anthony Capella

Il pasticcere del re

Sono una grande amante dei romanzi storici, mi piacciono i libri che parlano di cibo e quindi ho ceduto subito quando ho visto questo romanzo.

Trama in breve: Carlo Demirco, un tempo servo del persiano Ahmad, conosce i segreti del ghiaccio ed è un maestro nella preparazione di gelati, sorbetti e cordiali. La sorte lo porta prima a Versailles e poi in Inghilterra, dove mette la sua arte al servizio dei due maggiori sovrani d’Europa, Luigi XIV e Carlo II.
Sua compagna di viaggio Louise, discendente di un’antica famiglia della Bretagna, di cui è perdutamente innamorato, il cui compito è quello di fungere da intermediaria tra il re di Francia e quello di Inghilterra.

Lo dico fin da subito: non mi ha lasciato nulla.
Non è scritto male; il ritmo è piuttosto lento ma non considero questa caratteristica un difetto, anzi spesso preferisco una storia più lenta a una troppo frenetica.
Il punto, qui, è che non sono riuscita a trovare quel qualcosa in più che mi fa amare un libro.
E’ scritto bene, anche se alcuni punti mi hanno fatto storcere il naso (dubito fortemente che una dama di Versailles profumasse di acqua di rose), ma è noioso, e il protagonista è di una superficialità e una stupidità imbarazzante.
Il suo nome è Carlo Demirco. Da bambino lavorava per Ahmad, un persiano che, nella Firenze dei Medici, si occupava della preparazione di sorbetti e cordiali graditissimi dalla nobiltà.
Carlo impara da lui questo mestiere, e trova la sua fortuna il giorno in cui riesce ad arrivare in Francia, alla corte di Luigi XIV.
Al di là delle varie vicende che fanno da sfondo e che ognuno di noi ha studiato sui banchi di scuola, la stupidità di quest’uomo è allucinante. Sembra che il suo cervello sia programmato per pensare a gelati e sorbetti: null’altro. Non ha la minima sensibilità, non ha pensieri profondi. Anche l’amore che dice di professare per Louise risulta più che altro un’ossessione, tra l’altro mal gestita.
Altra nota dolente, Louise.
Ora, che non si possano amare tutti i personaggi è chiaro, che li si possano odiare tutti (quei pochi che sono caratterizzati, la maggior parte sono poco più che comparse) è come minimo sgradevole.
Louise è insopportabile, o almeno, lo è stata per me.
Arrogante e altezzosa quando non ha alcun motivo di esserlo, dà l’impressione di ritenersi superiore a chiunque.
Non disdegno un personaggio dal brutto carattere, ma l’ho trovata davvero mal gestita.
La questione dei personaggi è importantissima, per quanto mi riguarda, e qui sono proprio loro a rovinare quello che, di base, sarebbe potuto essere un bel romanzo.

In conclusione, non posso consigliare un romanzo che mi ha fatto nascere il desiderio di veder morire i personaggi tra atroci sofferenze.
Sarebbe stato un buon libro, se non ci fosse stato alcun protagonista.

Lisa See – La ragazza di giada

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La ragazza di giada
Lisa See

la ragazza di giada

Ho letteralmente adorato, di quest’autrice, “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, quindi come potevo non acquistare anche questo libro?
In realtà ho poi avuto difficoltà a finirlo, non mi è sembrato accattivante come l’altro.

Trama in breve: Nella Cina del XVII secolo, Peonia, una ragazza appartenente alla prestigiosa famiglia Chen, è promessa sposa a un uomo che non conosce.
Il giorno del suo sedicesimo compleanno, durante l’allestimento dell’opera Il Padiglione delle Peonie, conosce un ragazzo di cui si innamora a prima vista, ricambiata. Ma Peonia è consapevole di non poter cedere, visto il suo imminente matrimonio con l’uomo sconosciuto che i genitori le hanno scelto.
Da qui inizia il tormento della ragazza, che ha risvolti importantissimi e molto particolari.

Partiamo dal presupposto che parlare di questo libro è difficile perché non voglio fare spolier, e buona parte della mia perplessità arriva proprio dal colpo di scena che conclude la prima parte del romanzo, che mi ha lasciato tanto basita da farmi abbandonare la lettura per due giorni interi.
Una volta ritrovata la voglia di continuare, ho constatato che comunque Lisa See non si smentisce: la ricostruzione storica è accurata e dettagliata, sono stata davvero catapultata in un mondo diverso, con rituali e tradizioni che mi sono entrati nel cuore, per quanto siano così diversi dalla mia realtà.
Grandi protagoniste del romanzo sono le donne, anche se la loro vita ruota attorno agli uomini.
Peonia, naturalmente, la giovane protagonista. L’ho apprezzata molto: è una normale ragazza di sedici anni, ovviamente calata in un contesto diverso dal nostro, con la sua leggerezza da una parte, e dall’altra il desiderio e il dovere di compiacere i genitori e tenere alto il nome della famiglia.
C’è sua madre, una donna forte, con un passato importante da svelare, fondamentale nelle vicende della figlia.
Tan Ze, bimba di nove anni all’inizio del romanzo, la ritroviamo adulta in seguito, viziata e arrogante.
Poi la piccola Yi, una ragazza fragile fisicamente ma con uno spirito fortissimo, capace di cambiare le sorti di Peonia e di Tan Ze.
Peonia, Tan Ze e Yi sono legate, sono mogli-gemelle: per capire è necessario leggere il romanzo, o svelo l’intero intreccio.
Ci sono anche gli uomini, ovviamente, ma fanno da contorno. Sono la causa scatenante di tutto ma alla fine non risolvono e non concludono niente. La storia si svolge nelle camere interne, dove vivono le donne, e soprattutto si concentra sulle loro passioni e sui loro desideri.

In conclusione, non lo ritengo ai livelli di “Fiore di Neve e il ventaglio segreto”, ma lo ritengo un bel romanzo.
Io, poi, con la passione per la storia, continuo a essere innamorata delle descrizioni di questa donna, che per quanto mi riguarda valgono l’intero romanzo. Sono stata letteralmente catapultata nella Cina del XVII secolo, e non posso quindi che consigliare con tutto il cuore questo romanzo.

Margaret Atwood – La donna da mangiare

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La donna da mangiare
Margaret Atwood

La donna da mangiare

Margaret Atwood fa parte della mia rosa di autori preferiti.
Innamoratami di lei grazie a La donna che rubava i mariti, mi sono impossessata di tutti i suoi romanzi, e piano piano li sto leggendo.
In questi giorni è toccato a questo.

Trama in breve: Marian è una donna che lavora presso “Indagini di mercato Seymour”, ha un fidanzato di nome Peter e vive con un’amica femminista decisamente particolare.
Durante un’indagine sulla birra condotta per lavoro Marian conosce Duncan, un ventiseienne dall’aspetto di un ragazzino che subito la ammalia per la sua aria da bimbo indifeso e che poi ritroveremo nel corso di tutto il romanzo.
I problemi di Marian iniziano nel momento in cui Peter le propone di sposarla, facendo crollare le sue certezze e spingendola a farsi domande su se stessa e su ciò che vuole essere.
E’ in questo periodo che Marian, senza nemmeno sapere bene perché, smette di mangiare, e l’unico modo per riuscire a tornare “normale” è quello di capire che cosa vuole dalla propria vita.

Inizio dicendo che la traduzione fa accapponare la pelle.
Se avessi letto un altro “egli” o “essa” giuro che avrei dato fuoco al libro. Per fortuna è terminato prima che la mia soglia di sopportazione venisse brutalmente infranta. Mi rendo conto che questo è un problema che non posso attribuire al romanzo in sé, ma non avendo a disposizione la versione originale mi trovo costretta a farci i conti.
Ignorando il problema dell’esubero di pronomi, mi sono addentrata nella lettura.
Il libro è diviso in tre parti; la prima è, detta banalmente, noiosa. E’ lenta, non succede nulla e non mi ha colpita particolarmente se non per la pateticità della protagonista e l’assoluto odio che ho sviluppato per tutti gli altri personaggi.
La seconda parte l’ho trovata migliore, sul serio, e soprattutto ho trovato che il personaggio di Duncan, su cui mi soffermerò più avanti, abbia alzato il livello della storia.
La terza parte, corrispondente, se vogliamo, a un epilogo, dà senso al libro in sé ed è stata tutto sommato piacevole.
Visto che la trama non ha grandi avvenimenti (cosa che non è assolutamente negativa, per me), passo ai personaggi che sono il punto più importante.
Non saprei fare una classifica dei più odiosi.
Duncan escluso, li ho odiati tutti dal primo all’ultimo. Forse quella che ho digerito meno è stata Clara, amica di Marian, madre di tre figli e donna sciatta e inconcludente.
Questa avversione per i personaggi mi deriva probabilmente da una mentalità molto diversa da quella che ognuno di loro ostenta: dalle loro bocche esce l’idea di un mondo in cui la donna è chiusa in casa a fare figli, e l’uomo esce a lavorare.
L’ho trovato pesante, in quanto è praticamente il tema di fondo del romanzo, e anche abbastanza disturbante.
Duncan è un’eccezione: si potrebbe definire un anticonformista, o forse semplicemente uno che fa quello che gli va di fare perché gli va di farlo. Si ritiene bisognoso di cure, definisce i suoi due coinquilini, studenti come lui “genitori” e si dimostra più simile a un bambino/adolescente che a un adulto, anche se è davvero difficile dare un’interpretazione di questo personaggio che è l’unico che ho amato.
Anche la protagonista, Marian, è piuttosto insopportabile, almeno per la prima metà del libro. E’ scialba, non ha carattere, si fa maneggiare come un burattino, almeno fino a quando inizia a mostrare segni di squilibrio e a porsi più domande, allora la questione cambia e lei diventa un personaggio molto più apprezzabile.

In conclusione, non mi sento di consigliare questo romanzo.
Lo stile della Atwood ha senza dubbio fascino, ma per me questo libro è stato pesante e inconcludente.

Sciltian Gastaldi – Angeli da un’ala soltanto

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Angeli da un’ala soltanto
Sciltian Gastaldi

Angeli da un'ala soltanto

Questo è nella mia libreria da tantissimo tempo, e alla fine ho deciso di leggerlo.
Meglio tardi che mai!

Trama in breve: Francesco ed Emanuele hanno diciannove anni, sono due ragazzi normali, con una vita normale, che si amano più che mai. Francesco ha perso la madre da piccolo, vive con una sorella che cerca di sostituirla come può e un padre assente, che lo disapprova. Dal suo punto di vista viviamo la sua intensissima relazione con Emanuele, un ragazzo particolare che l’ha davvero incantato.

Mi è piaciuto.
La trama è molto semplice, in realtà: sono due ragazzi che si amano, semplicemente, e come tutti gli innamorati fanno progetti, litigano, hanno incomprensioni anche molto profonde.
Per quanto riguarda i personaggi, li ho apprezzati.
Sono persone normali, con i loro difetti, le loro incongruenze e a volte degli atteggiamenti molto stupidi. E’ una cosa che mi è piaciuta tanto, mi ha fatto sembrare la storia molto più viva, è stato facile immedesimarsi nella voce narrante, Francesco.
Tutto è filtrato dai suoi occhi, ed è stato molto piacevole leggere questa storia attraverso di lui, in particolare per quanto riguarda il personaggio di Emanuele.
E’ un ragazzo particolare, io l’ho odiato e amato allo stesso tempo; sicuramente è molto vero.
Diciamo che mi sono piaciute molto meno le lunghissime mail che i protagonisti si scrivono, in particolare quelle scritte da Emanuele. Dunque, questo personaggio frequenta il classico e okay, ci sta che abbia un linguaggio forbito, non dico di no. Però secondo me si è esagerato. Emanuele ha diciannove anni e parla e scrive come un accademico della Crusca.
Ecco, questa secondo me è la nota dolente del libro: non ho trovato verosimili i dialoghi. I protagonisti sono due diciannovenni che parlano come novelli Dante, con espressioni eleganti, complesse, lontane dal linguaggio quotidiano. Insomma, il libro è recente (2004) e mi sarei aspettata qualcosa di più verosimile da questo punto di vista. Se sia una scelta precisa dell’autore non lo so, ma a me non è piaciuto.
Questo non toglie che sia un bel libro: non lo definirei un capolavoro, ma una lettura molto piacevole sì.
Mentirei se dicessi che non mi ha coinvolta moltissimo e che ero impaziente di vedere come si sarebbe evoluta la situazione tra i due protagonisti.

In conclusione, direi che lo consiglio parzialmente.
Insomma, se siete alla ricerca di un libro piacevole ma non molto di più, è una lettura più che adeguata.
Io forse, dopo averne letto recensioni entusiaste in giro per il web, mi aspettavo troppo.

Eleonora Caruso – Comunque vada non importa

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Comunque vada non importa
Eleonora Caruso

Comunque vada non importa

Confesso, sono sempre titubante quando si parla di esordienti.
Insomma, non danno la stessa sicurezza di un autore conosciuto e magari amato, no?
Non a caso, nella mia libreria girano sempre gli stessi nomi, alla fine.
Bene, parliamo di questo romanzo, allora.

Trama in breve: Darla e il fratello Andrea si sono trasferiti a Milano da Novara, con l’intento di studiare all’università.
Sono fratelli, diversi tra loro eppure simili. Andrea è intelligente, bello, e con i suoi comportamenti autodistruttivi mette in ombra la sorella.
Darla, la nostra protagonista, vive sul divano davanti al pc. Letteralmente. A cercare di salvarli Alessandro, fidanzato di Andrea, che tiene a entrambi, che è affezionato loro nonostante siano due personalità difficili.

La trama, bene o male, è questa.
Sembra poca cosa, e in effetti se cerchiamo avvenimenti entusiasmanti in questo libro faremo fatica a trovarne.
Ma è bello. E’ bello davvero.
Darla è una donna vera, dannazione, diversa dai soliti libri. Anzi, è più di una donna vera! E’ sciatta, infantile, è pure sporca, ma quanto sono veri i suoi pensieri io non lo so dire. E’ anche incoerente, non sa nemmeno lei cosa vuole, però lo vuole. E’ egoista, tantissimo, ma chi non è egoista in realtà? Darla è vera, per quanto mi riguarda.
Posso dire di avere amato alla follia questa protagonista? Lo dico.
L’ho amata più che mai.
Così come ho amato e odiato Andrea, che è una presenza evanescente ma che si sente, eccome. In fin dei conti, è lui il fulcro che muove tutto, è intorno a lui che ruotano i personaggi e tutta la vicenda.
E’ un romanzo veloce: si legge in un pomeriggio.
Questo non vuol dire che sia semplice. Io ho riso leggendolo, ma ci sono anche rimasta male. Ho provato una forte malinconia quando Darla parlava del rapporto con il padre, con il fratello, con le amiche.
Non è un libro che ha una storia da raccontare, questo no. Ci mostra uno spaccato di vita, ecco tutto.
Io non guardo la trama di un libro, non mi interessa se per duecento pagine non succede niente.
Questo romanzo è scritto bene. Punto. E a me è piaciuto tantissimo così com’è.
Non ci sono fronzoli, anche lo stile è duro, secco. In sintonia con Darla, l’io-narrante di tutta la vicenda.

In conclusione, io lo consiglio.

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